
Nel quartiere a ridosso dello stadio, tra senso di abbandono e speranze "Sono anni che si parla della situazione di questa zona, nessuno interviene". Il lavoro di associazioni sportive e culturali: "L’unica soluzione è l’integrazione".
Su piazzale Selinunte veglia lo sguardo di un demone urbano, un murale che si staglia sulla torre dell’ex centrale termica che un tempo riscaldava i palazzi di San Siro. Il mostro è diviso a metà: un lato nero, l’altro bianco, come se racchiudesse le due facce del quartiere. A nord, le residenze eleganti e il futuro dello stadio che si ridisegna; a sud, il quadrilatero del degrado, della microcriminalità e della multietnicità, dove gli sforzi per il riscatto partono dal basso.
A segnare il confine invisibile tra queste realtà opposte, il tram 16, che attraversa Piazzale Segesta. Nella zona sud, rassegnazione e silenzio sono la norma. In pochi scelgono ancora di farsi sentire, come Sabrina Saracino, titolare del bar Maria, una delle ultime attività gestite da italiani in piazzale Selinunte: "Capisco chi non vuole parlare. La situazione è drammatica e non è di certo un segreto. Sono ormai anni che vengono televisioni e giornali, ma non è mai cambiato nulla. Anzi, esponendosi c’è il rischio di peggiorare la situazione. La microcriminalità è una realtà: spaccio, scippi, risse e litigi tra ubriachi. Noi, fortunatamente, non abbiamo mai subito danni particolarmente gravi. Ma basta guardare fuori dalla vetrina per rendersene conto. Ormai le persone hanno paura a passare da qui, i clienti scappano".
Un abbandono che traspare dai muri scrostati, dai graffiti e dai marciapiedi invasi dai rifiuti. Lo conferma Roberto Donzelli, commerciante: "Sulla criminalità non posso esprimermi personalmente. Sono qui dal 1984 e solo una volta hanno provato a entrare nel mio negozio, senza riuscirci. Credo che il vero problema sia il degrado. La zona è peggiorata costantemente, soprattutto per la spazzatura. A volte si formano vere e proprie montagne che restano lì per giorni. Il comune non sembra interessarsi al decoro". A poca distanza, ma già nella zona residenziale di San Siro, c’è il Caffè Nori, un bar a conduzione familiare: "La nostra zona è sempre stata tranquilla, ma abbiamo comunque risentito della situazione di Selinunte - spiega Carlo Castello, uno dei titolari - La cosa più grave, però, è che un tempo San Siro era pieno di famiglie, ma oggi si sta svuotando, sta scomparendo l’anima popolare del quartiere".
Nel degrado, però, c’è anche chi si rimbocca le maniche. A San Siro e, soprattutto in piazzale Selinunte, le associazioni si moltiplicano. Come il Centro Sportivo Italiano, che - spiega il presidente Massimo Achini - usa lo sport per riqualificare le periferie: "Così combattiamo la microcriminalità, agganciando i più giovani e sottraendoli alla strada e ai suoi rischi. Inoltre, la dinamica dello spogliatoio crea legami immediati tra ragazzi di culture ed etnie diverse". Un approccio condiviso anche da Moustafa Rabbah, presidente dello Spazio Marocchino Culturale Sportivo: "Promuoviamo l’integrazione non solo tra italiani e stranieri, ma anche tra diverse comunità, come quella marocchina ed egiziana. I ragazzi non hanno difficoltà a crescere insieme, spesso l’educazione servirebbe più ai genitori che a loro".
Accanto allo sport, c’è l’istruzione. San Siro è la sede della Scuola Araba bilingue. Come racconta Othman Mahmoud, preside dell’istituto: "La scuola promuove l’integrazione, accoglie ragazzi e ragazze per unire le due culture che appartengono loro: quella araba e quella italiana. Collaboriamo con tutte le autorità in zona per promuovere un’educazione multiculturale e rispettosa dell’ambiente in cui si vive". Anche le università milanesi fanno la loro parte. Lo spazio Off Campus del Politecnico di Milano è un esperimento che permette a studenti di fare attività di volontariato in linea con il loro percorso di studi. Una di loro è Cristina Delli Carri: "Aiutiamo le persone nella ricerca del lavoro, nel percorso scolastico e nello studio della lingua. All’inizio non è stato facile: abbiamo dovuto vincere la diffidenza delle persone. Ma, una volta costruito un rapporto di fiducia, i risultati sono arrivati. Chi ha bisogno viene qui volontariamente e sa di non essere solo, perché il cambiamento passa anche da piccoli gesti".