
A destra Raffaele Longo, direttore dello storico caffè-pasticceria (NewPress)
Milano, 7 dicembre 2018 - L'omonimia è la sua forza e la sua empatia, anche se i puristi avranno da obiettare che il dialetto non è la lingua di Dante e che quindi «Sant’Ambroeus» è solo una storpiatura plebea di Sant’Ambrogio. Diamine, è il nome di uno dei caffè-pasticceria più iconici di Milano. E se c’è un giorno quasi canonico per accomodarsi al 7 di corso Matteotti è proprio il 7 dicembre. Giusto per fare gli auguri nel giorno del suo onomastico. E per stringere la mano ad un mito dei cake designer come Luciano Vismara, 81 anni tenuti alla grande e simpatico «diversamente giovane» che riesce ad amare quello che fa anche dopo 59 anni di lavoro, sempre pronto a presentarsi alle 7 nel suo bel laboratorio e ad inventare l’ennesima scultura uscita dalla mente di qualche cliente esigente. Piccola alchimia di un maestro dell’arte bianca che anni fa Massimo Moratti aveva salutato come «il Van Gogh della pasticceria» dopo averlo visto all’opera davanti a monumentali decorazioni sopra i panettoni rivestiti di cioccolato.
E magia del «bel salotto» della città, rimasto tale grazie a Simonetta Langè Festorazzi, che qualche anno fa aveva deciso di rifiutare con educato ma secco diniego le proposte di gruppi e holding interessati ad acquistare il suo Sant’Ambroeus, dopo averne anzi rafforzato l’immagine affidando la direzione a Raffaele Longo, abile manager che alle spalle aveva una vita al Principe di Savoia. Dettagli. Ma contano. Come quelli che tengono banco nel laboratorio, piccola fabbrica di cose buone dove il panettone viene impastato, cotto, messo a testa in giù per almeno 12 ore e infine confezionato in quelle scatole color rosa pesca che fanno bella mostra nelle vetrine della pasticceria, incorniciate da bottiglie nobili targate Aneri, Ferrari e Bellavista. Una star? Certo. Anche se di questi tempi è la «Veneziana» a farsi largo nei gusti del pubblico, niente canditi e uvette e invece scorze d’arancio, con qualche souvenir della colomba seppure con l’apparenza esteriore del panettone. Quasi ad evitare un sacrilego oltraggio ad un simbolo identitario della «milanesità» che in coso Matteotti viene trattato in modo quasi sacrale. Un’evidenza. Sarà anche una versione dialettale. Ma è pur sempre il «Sant’Ambroeus».