Tutta la vicenda inizia alle 3.30 della notte tra sabato 23 e domenica 24 novembre in via Farini, nella zona settentrionale di Milano. Una pattuglia della Radiomobile dei carabiniere avvista due persone in sella a un motorino nero modello Tmax: seduto dietro c’è Ramy, alla guida c’è Fares B., un amico tunisino di 22 anni. Quest’ultimo indossa un passamontagna sotto il casco. I militari quindi si insospettiscono e intimano al mezzo di fermarsi, ma questo accelera e si allontana (l’amico, in tasca, aveva una catenina d’oro strappata, mille euro, un coltello a serramanico e uno spray al peperoncino).
La Giulietta dei militari lo segue e inizia un inseguimento che per circa venti minuti prosegue in viale della Liberazione, in via Gioia, in corso Como, in via Fatebenefratelli e, alla fine, in via Ripamonti. Lì, all’incrocio con via Quaranta, il motorino scivola sull’asfalto e nell’impatto col marciapiede Ramy viene prima sbalzato contro una struttura, poi viene colpito dal palo di un semaforo urtato a sua volta dall’auto dei carabinieri. In quel momento non indossa il casco – lo ha perso durante l’inseguimento – e le lesioni alla testa risulteranno fatali.
Il punto, riguarda alla dinamica, è capire chi abbia la responsabilità dell’incidente. L’auto dei carabinieri ha urtato il motorino, provocando lo schianto? Oppure il mezzo è scivolato a causa della velocità sostenuta? La Procura di Milano, come da prassi, ha indagato per omicidio stradale in concorso sia il vicebrigadiere al volante della macchina sia il ventiduenne che guidava il Tmax.