Oltre agli amici di Ramy, alla guerriglia hanno partecipato giovani provenienti da diverse periferie di Milano. E alla rabbia per la morte di un giovane si è mischiata una protesta che sembra avere connotati di tipo sociale e identitario. Corvetto è una zona popolare, degradata, ad alto tasso di criminalità e di immigrazione, abitata da molti ragazzi di seconda generazione (cioè nati in Italia da genitori stranieri). Queste sono caratteristiche comune anche alle banlieue francesi, cioè le periferie urbane diventate il simbolo delle disuguaglianze della società perigina e divenute teatro di numerose rivolte che la polizia ha sedato con metodi spesso brutali e discriminatori.
Il conflitto tra le forze dell’ordine e la popolazione è talmente radicato da essere diventato parte della cultura di quelle zone. Già nel 1995, il film L’odio prende spunto dalla reale uccisione di un ragazzo da parte della polizia per raccontare la vita nelle banlieue di Parigi. La morte di Ramy, insomma, sembra aver acceso una frustrazione e una rabbia collettiva che ha radici molto più profonde del caso di cronaca in sé. E che riguarda l’incapacità delle istituzioni di garantire a tutti coloro che vivono nelle periferie diritti essenziali, eguaglianza economica, prospettive di vita e, in ultima istanza, integrazione sociale.
Non pochi esponenti politici hanno parlato di “effetto banlieue”, “emergenza nazionale” e del rischio – espresso dal presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana – di “perdere il controllo su certe parti del nostro territorio”. Il sindaco di Milano Giuseppe Sala non ha commentato la vicenza, nonostante siano ormai passati tre giorni dalla morte di Ramy.