I primi campanelli d'allarme squillano quando Van Basten è ancora all'Ajax. La caviglia destra salta e costringe Marco a sottoporsi a una prima operazione. Il problema all'articolazione lo accompagnerà per tutta la sua carriera e ne provocherà la conclusione anticipata.
Nel 1992, quando il male torna a farsi sentire in maniera importante, il centravanti rossonero chiede consiglio al dottor Marti, luminare olandese della chirurgia ossea che l'ha già operato tre volte. Il medico lo sollecita a sottoporsi a un altro intervento, per ripulire la zona infortunata dei frammenti ossei che gli causano tanto dolore. E' l'inizio della fine. I tempi di recupero - garantisce Marti - dovrebbero aggirarsi sui due mesi. Van Basten rientra dopo quattro mesi, ma la caviglia, ricorda nella sua autobiografia, è diventata "ipersensibile".
Si gonfia a ogni minimo urto, il dolore diventa costante. Gioca ancora solo una manciata di partite. L'ultima è la finale di Coppa dei Campioni persa con il Marsiglia, disputata proprio in quell'Olympiastadion di Monaco di Baviera che, qualche anno prima, l'ha rivelato campione di abbacinante talento nell'Europeo tedesco. Trascorrono altri due anni, con la speranza di rivedere Van Basten con un pallone che si affievolisce sempre di più.
La sua ultima immagine milanese è densa di malinconia. Prima del Trofeo Berlusconi fra Milan e Juve del 17 agosto 1995 l'olandese saluta il pubblico di San Siro per l'ultima volta. Tutto è fuori posto in quel giro di campo: la camminata da dopolavorista, lo sguardo che trattiene le lacrime con difficoltà, persino la giacchetta di renna con cui Marco si presenta ai supporter, davvero stonata nel caldo milanese di mezza estate.