MARIANNA VAZZANA
Cronaca

Un viaggio nella scuola di restauro dove gli alunni ridanno vita alle opere d’arte: “Dalle nostre mani rinascono antichi tesori”

I laboratori di Botticino hanno mezzo secolo di storia e dal 2022 sono a Milano. Tra i manufatti in “cura“, il tabernacolo di Sant’Ambrogio e una polena

Scuola di restauro Botticino, le opere in analisi al ospedale Galeazzi

Scuola di restauro Botticino, le opere in analisi al ospedale Galeazzi

MILANO – Un volto di sirena su un telo bianco. Lo sguardo che un tempo scrutava l’orizzonte dall’alto della prua di una nave ora è nelle mani sapienti dei restauratori. Quegli occhi di legno, ma intensi, sono parte di una polena in arrivo dal Museo nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo Da Vinci per essere rimessa in sesto. A pezzi, riposa vicino a un tabernacolo prezioso che ha viaggiato dalla basilica di Sant’Ambrogio fino alla Bovisa per tornare all’antico splendore, accanto ad affreschi segnati dal tempo e bisognosi, anche loro, di cure.

Sono opere d’arte che si incontrano nella Scuola di restauro di Botticino nata mezzo secolo fa nel Bresciano e da due anni a Milano, in due sedi: in via Cosenz 54, a due passi dal Politecnico in Bovisa, e a Mind, Milano Innovation district, in via Cristina Belgioioso 171, negli spazi che furono di Expo 2015. Nuovo impulso grazie a Valore Italia, Centro internazionale di formazione e ricerca per il restauro e la valorizzazione del patrimonio culturale, che dal 2022 gestisce la scuola, fucina di restauratori che arrivano al traguardo dopo 5 anni del corso di laurea magistrale. I docenti esperti ridanno lustro alle opere d’arte e intanto insegnano il mestiere ai giovani, più di 50 ragazzi, in prevalenza donne, ma l’obiettivo è conquistare sempre di più anche gli uomini. Così nei laboratori riprendono vita tele, opere lignee, dipinti murali, sculture, manufatti cartacei, arazzi e non solo. "Al centro dell’apprendimento – la filosofia della scuola – c’è l’intervento diretto. La teoria va sempre di pari passo con la pratica". Così, da quando ospita la realtà di Botticino, Milano ha ritrovato colori che erano stati offuscati dal tempo: quelli del calco storico, in gesso, della Nike di Samotracia conservato al Museo Scienza e Tecnologia ma che di opere contemporanee custodite alla Triennale, ad esempio. Nelle sale si mette mano anche ai tesori del monumento simbolo, il Duomo, affidati dalla Veneranda Fabbrica.

Un lavoro che non è solo artigianale, perché i restauratori si confrontano con chimici, ingegneri, scienziati. Tanto per cominciare, all’ospedale Galeazzi, grazie a una collaborazione con il Gruppo San Donato, le opere vengono sottoposte a un chek-up. La tac è il primo passo per pianificare l’intervento: passata ai raggi X la polena, che rappresenta una sirena alata mentre suona la tromba, e che risale all’ultimo quarto del XIX secolo, per poter individuare eventuali fratture interne non visibili a occhio nudo. Ma anche il tabernacolo di Sant’Ambrogio, realizzato alla fine del ’600, in legno policromo, dorato, intagliato e con decorazioni a graffito e foglie d’oro. Ha una struttura architettonica importante: prima di procedere con l’intervento di conservazione, è stato necessario scoprire gli elementi di carpenteria al di sotto della superficie. Solo dopo l’analisi si è potuto definire il procedimento da seguire. Questo non può non tener conto di ogni materiale, dal supporto ai rivestimenti.

Grande importanza anche alla sostenibilità: per la pulitura, ad esempio, vengono utilizzate anche le alghe rosse Funori, giapponesi, a impatto zero sull’ambiente. Per un restauro di alcuni mesi può volerci uno studio preliminare di oltre tre anni, su un determinato oggetto. Al lavoro in laboratorio in questi giorni c’è Matilde Claut, ventiquattrenne veneziana, che per la tesi di laurea sta restaurando un dipinto della Fondazione Brescia Musei datato tra il 1540 e il 1560. "La parte più difficile – dice – ha riguardato il restauro del supporto, in legno, perché è un materiale che cambia nel tempo, si “muove“. Mi sono occupata anche della policromia sul dipinto". Non può ancora svelare l’opera, che è in fase di restauro, però basta guardare i suoi occhi che brillano per capire che è soddisfatta di come sta procedendo il lavoro: "Ha già cambiato aspetto rispetto a quando ho messo mano la prima volta. Io voglio fare di questo il mio mestiere, perché adoro che grazie al mio intervento si possa prolungare la vita di un bene dal valore inestimabile".

L’attenzione è anche al patrimonio internazionale. Lo scorso anno, ad esempio, alcune studentesse hanno avuto la possibilità di curare un progetto a Villa Firenze, la residenza dell’Ambasciata d’Italia a Washington: lì hanno restaurato delle specchiere napoletane dell’Ottocento. Una soddisfazione aver restituito l’anima a quegli oggetti, con le loro mani.