Segrate (MIlano) - Una manciata di minuti di brutale violenza che segnano per sempre la vita delle vittime. Ma riuscire a elaborare il trauma, chiudere la ferita e farla diventare una cicatrice è possibile. "Una cicatrice, appunto. Non una ferita che sanguina, ma un segno che rimane, che non si dimentica". Lo spiega un’esperta, Ottavia Zerbi, 46 anni, psicoterapeuta e psicoanalista, presidente dell’associazione “D come Donna” di Segrate. Una realtà storica, nata nel 1989, che aiuta le donne in difficoltà e "le tutela nella realtà economica, politica e sociale. Un aiuto per chi subisce ogni tipo di violenza – si legge sulla pagina del gruppo –, un punto di aggregazione e un’occasione di crescita culturale".
La notizia della violenza sessuale avvenuta a Segrate lo scorso dicembre, con l’arresto martedì del responsabile, Ayoub Garrad, 27enne marocchino che ha stuprato una 44enne in ascensore mentre rientrava a casa, ha scosso la città. Proprio a Segrate l’associazione “D come Donna“ propone, oltre alle tante iniziative di valorizzazione del talento femminile e di sensibilizzazione antiviolenza, uno sportello di ascolto, un numero di telefono (02.2133039 - 3713698651) per le donne che subiscono qualsiasi tipo di abuso. "Molte chiamano anche solo per chiedere consiglio, per parlare un po’ – racconta la presidente –. Per lo più sono vittime di violenze, anche psicologiche, in ambito familiare. In alcuni casi suggeriamo l’intervento del centro antiviolenza del territorio, che ha strumenti immediati per dare aiuto".
La specialista ha già avuto, purtroppo, a che fare con casi di violenze come quella capitato alla vittima 44enne della terribile aggressione. "Il trauma è inevitabilmente forte – spiega – e può trasformarsi in disagio e disturbi psicologici che si cronicizzano, con ripercussioni di ansia e depressione. Bisogna sostenere le vittime attraverso un percorso psicologico che possa accompagnarle nella elaborazione, non nella rimozione, ma nello sviluppo di un pensiero: tu non sei questo, ma ti è successo questo". E poi, c’è un altro pericolo in questi casi: "La vittima potrebbe provare un inconscio senso di vergogna e colpa", ribadice ancora Zerbi.
Per questo "iniziare a ripensare a ogni istante della violenza e immaginare scenari diversi, convincendosi di aver sbagliato perché magari non ha preso le scale invece dell’ascensore. Pensieri su come avrebbe potuto evitare la violenza, colpevolizzandosi di responsabilità che in realtà non ci sono". Uscire dai pensieri neri si può, anche se non è facile. "Bisogna lavorarci, prendersi i propri spazi e affidarsi agli specialisti – conclude la psicoterapeuta –. I dolori danno vita a cambiamenti e per affrontarli a volte tiriamo fuori energie che non pensavamo neanche di avere. Ma che ci sono".