REDAZIONE MILANO

"Baby vediamoci: ti do mille euro". E io mi sono venduta su Internet

L'annuncio online della nostra cronista, finta diciassettenne di AGNESE PINI

Baby squillo (Foto Olycom)

Milano, 29 gennaio 2016 - Per creare un annuncio sul sito di incontri erotici ci vogliono tre minuti. Nessun format da riempire, nessuna tassa da pagare, nessun controllo. Tre minuti. Puoi scrivere quello che vuoi, a patto di scrivere che sei maggiorenne. Devi solo scriverlo, non devi esserlo veramente, tanto non ti chiederanno la carta di identità. "Foto?", è un plus, certo. Ma non è necessaria. Io non l’ho messa. Ciao... sono sola a casa e devo fare i compiti... mi dai qualche ripetizione? (profluvio di faccine e cuoricini e puntini di sospensione). Clic, "pubblica". Sono ufficialmente on line. Trenta secondi più tardi, la mail già lampeggia: ho la mia prima risposta. "Fai una prova", mi avevano detto quando ho iniziato a occuparmi per Il Giorno di baby prostitute on line: 15, 16, 17 anni. "Prova a mettere un annuncio erotico, fai intuire che sei... piccola. Vedrai quanti ti risponderanno". Così ho provato: ho scelto un sito in cui puoi indicare la città da cui scrivi. Di più: addirittura il quartiere. Io ho selezionato la voce "Milano", zona "Loreto". Ho specificato l’età: "19 anni". In realtà, il tipo di annuncio che ho scritto lasciava volutamente intuire che potevo essere ancora più giovane.  Come dicevo: trenta secondi di orologio per ottenere il primo abboccamento. Gli altri hanno iniziato ad arrivare a pioggia, una media di uno al minuto. Ed erano passate le 23. Comincio ad aprire le mail un po’ a casaccio. Le risposte hanno tutte più o meno lo stesso tenore: Ciao, vengo io a darti una mano.... Con variazioni sul tema. Qualcuno è più spiccio: Ok, interessato, dammi info su di te, numero telefono, prezzo.... La prima cosa che ho notato – ammetto con un certo stupore – è stata che la grande maggioranza di questi uomini interagivano con me usando il loro vero indirizzo mail, con nome e cognome, che nell’epoca di Facebook significa rivelare con un solo clic anche faccia, età, professione. Nessun pudore, nessuna precauzione, nessun timore.

Il mio obiettivo era mettere con tutti in chiaro un paio di cose, fin dal principio: il fatto che fossi minorenne (ho solo 17 anni, non ho potuto scriverlo sull’annuncio perché altrimenti lo bloccavano....) e che volessi essere pagata (le mie sono ripetizioni un po’ particolari.... paga il prof). Volevo, insomma, che non potessero esserci equivoci nel proseguio della nostra conversazione: volevo «utenti» informati dei fatti. Le reazioni dei miei potenziali clienti hanno seguito un copione identico. Dei 18 maschi adulti che mi hanno scritto nei primi 18 minuti in cui il mio annuncio è stato online, solo tre si sono fatti indietro di fronte alla mia dichiarata minore età. Per tutti gli altri la risposta è stata, più o meno, un Ok non c’è problema. Il più pragmatico: Sì però mi fai vedere il documento, così son sicuro che non mi prendi in giro.... Chi erano questi 18 maschi adulti? Per molti di loro, come spiegavo, ho potuto levarmi lo sfizio di verificarne qualche dettaglio biografico, visto che non si ponevano alcun scrupolo a compiere di fatto un potenziale reato usando il proprio nome e cognome, o un indirizzo mail riconducibile a un profilo Facebook. Ho trovato molti trentenni e quarantenni, ma anche qualche ventenne. Dagli studenti del Politecnico, ai bidelli, ai professionisti. Non pochi di loro posavano sulla foto-profilo della pagina Fb insieme al figlioletto sorridente: tre, quattro anni. Quando i termini del nostro potenziale accordo si sono fatti chiari, anche i modi dei più «gentili» sono diventati aggressivi. Ho capito, con un certo disagio, che «i miei clienti» stavano contrattando una merce, e quella merce ero io stessa. Questo ha in breve azzerato anche il più minimo grado di civiltà nell’approccio. Da merce, in effetti, sono stata trattata, in barba anche ai miei virtuali 17 anni. C.D. scrive: Quanto? 100 va bene? Sì. Manda foto. Prima dimmi quanti anni hai... 38. A.F. non si perde nemmeno a chiedermi un tariffario. Mi offre un assegno, ma la sua intenzione è precisa: Ti do mille euro se lo facciamo senza preservativo.  Altri vogliono dettagli sulle prestazioni che posso offrire: cosa faccio e cosa non faccio, tempi, gusti.  Quando tentenno, quando non rispondo più, tutti (o quasi) si sentono in diritto di diventare violenti. Pretendono risposte, continuano a inondarmi la casella di posta di mail ossessive: Dove sei? Quindi? Allora mi rispondi? E c’è chi, di fronte alla mia sparizione, mi ricopre di insulti. È evidente che io per loro sono una cosa, appunto. Una cosa che loro sono disposti a pagare. Mi trattano di conseguenza.  Prima di iniziare l’esperimento avevo deciso che avrei tenuto la casella di posta aperta per un’ora. Ma non resisto, la chiudo molto prima, mentre mi prende in pancia un terribile disgusto. Penso alle baby squillo dei Parioli (quelle che nel 2013 avevano 15 anni), penso alle ragazzine che a Brescia si prostituivano su Facebook (quindicenni pure loro). Penso che facevano questa roba qui, che chattavano con questa gente qui, che si sentivano dire queste cose qui. Da maschi adulti perfettamente consapevoli. E quasi sempre impuniti.