SIMONA BALLATORE
Cronaca

Storia di Shiro, dalla fuga dai talebani all’università a Milano: “Violenze e prigionia. Voglio laurearmi, era il sogno di mio padre”

L’odissea dello studente-profugo 23enne Shirullah: dall’Afghanistan al Pakistan, poi l’arrivo Milano: “I corsi alla Iulm, lavoro al fast food. Ma vorrei rivedere la mia famiglia”

Shirullah, 23 anni, viveva in un villaggio nell’area di Kabul Ha raggiunto Milano dal Pakistan dopo la fuga dall’Afghanistan dei talebani Oggi studia Comunicazione d’imprese e relazione pubblica alla Iulm

Shirullah, 23 anni, viveva in un villaggio nell’area di Kabul Ha raggiunto Milano dal Pakistan dopo la fuga dall’Afghanistan dei talebani Oggi studia Comunicazione d’imprese e relazione pubblica alla Iulm

MILANO - “Il sogno di mio papà era permettere a me e alle mie sorelle di studiare. Ricomincio da qui”. Shirullah ha 23 anni. È arrivato a Milano un anno e mezzo fa grazie a un corridoio umanitario. Ha cercato di ricostruirsi una vita, cominciando subito a lavorare in un fast food per aiutare la sua famiglia, a più di 6.600 chilometri di distanza. “Ma sentivo un vuoto dentro. Così ho chiesto aiuto per potere tornare a studiare”. Di giorno frequenta l’università Iulm come studente-rifugiato, la sera i turni al ristorante. Gli amici lo chiamano Shiro.

Dove comincia il suo viaggio?

“Da un paesino a due ore di macchina dalla capitale, Kabul. Sono il quinto di dieci figli. Nel mio villaggio non c’era la scuola, dovevo spostarmi a piedi in un altro paese a piedi per andare in moschea: gli adulti pregano, i bambini imparano a leggere il Corano. Mio papà era riuscito a studiare in una scuola fino ai 12 anni, aveva dovuto smettere perché suo padre era morto. Ha cercato di fare studiare anche noi”.

Come?

“Con un programma che si chiama “Afceco children“, di un’organizzazione non profit che aiuta le famiglie povere o i bambini orfani. Mi ha mandato lì quando avevo 11 anni. Tornavo a casa solo per due mesi, in inverno. Con questa onlus ho conosciuto anche una famiglia italiana, che mi ha ospitato per qualche mese a Milano. Dopo la scuola mi sono iscritto all’università: Ingegneria, tecnologia e chimica. Avevo anche trovato un lavoro nel 2022, in un ufficio che lavorava con l’Unicef per progettare case, ospedali, cliniche. Anche le mie sorelle avevano iniziato a studiare: una Chimica, una Biologia, una era diventata anche maestra. È durato pochissimo”.

Sono tornati i talebani.

“Chi poteva, scappava dalla capitale. Io sono tornato a casa. Quando sono arrivati nel mio villaggio, i talebani facevano domande a tutti. Uno voleva sposare una mia sorella: lei, disperata, preferiva morire. Penso spesso a lei. Sapevano che io avevo studiato, mi dicevano: “Siamo musulmani, perché hai studiato nelle scuole dei cristiani?“. Quel programma era sostenuto da Paesi europei. Sono stato picchiato e imprigionato. Una notte sono riuscito a scappare da una finestra piccolissima, mi sono nascosto tra le montagne. Neanche i miei genitori sapevano dove fossi”.

E cos’è successo dopo?

“La famiglia italiana che mi aveva ospitato quand’ero piccolo ha chiamato l’organizzazione e chiesto come rintracciarmi. Sono stato contattato mentre ero in fuga, mi hanno consigliato di andare verso il Pakistan. Non avevo i documenti. A metà viaggio ho incontrato un compagno di scuola e insieme abbiamo provato a varcare il confine. Sono entrato in Pakistan scavando un buco con le mani sotto la palizzata che divide i due Paesi. Ma sono rimasto impigliato con i vestiti”.

L’hanno fermata?

“Sì. La polizia pensava fossi un ragazzino, perché non dimostro la mia età. Mi hanno dato uno scappellotto e detto di tornare a casa. Sono riuscito a entrare in Pakistan al secondo tentativo e mi sono nascosto nella casa di un altro amico. Da lì ho recuperato il passaporto. Intanto la famiglia italiana si è mossa per cercare di aiutarmi a espatriare. Sono riuscito ad arrivare in Italia grazie ai corridoi umanitari della comunità di Sant’Egidio”.

Com’è stato il primo impatto con Milano?

“Ho ricominciato la mia vita da zero, e sono grato di questa possibilità. Per qualche mese sono stato ospite della famiglia, poi ho trovato un impiego in un McDonald’s mentre di giorno andavo a studiare italiano. Dopo tre mesi sono riuscito a pagarmi un posto letto al Corvetto per non gravare troppo su di loro. Ero più autosufficiente, ma mi sentivo male: ricordavo i miei studi, i sogni di papà che voleva andare all’università e mi sognava ingegnere. Così ho chiesto aiuto alla comunità di Sant’Egidio. La Iulm mi ha aperto le porte: ho il pasto gratuito e da gennaio avrò anche un posto letto in residenza. Studio Comunicazione d’imprese e relazione pubblica. L’ateneo mi sta aiutando davvero tanto. La scuola è importantissima per me e per la mia famiglia”.

Cosa sogna oggi Shiro?

“Di laurearmi, di trovare un nuovo lavoro e tornare a casa per abbracciare i miei genitori. Vorrei tanto una giornata di felicità con la mia famiglia”.