Paolo Berlusconi, un anno fa ci lasciava suo fratello Silvio. Oggi qual è il primo pensiero che le viene in mente?
“Ripenso a lui con serenità. A volte mi emoziono e poi piango ricordando i momenti trascorsi insieme. Ma credo che quando se n’è andato fosse davvero arrivato il momento. Aveva sofferto tanto, si percepiva la sua stanchezza. Però lo sento sempre qui accanto a me”.
Fa fatica a parlarne al passato...
"Questo perché ha lasciato tanto agli altri. Silvio ha avuto una vita incredibile, tutto ciò che ha fatto era sempre pensato nell’amore e con l’amore delle persone. Mio fratello è stato grande ovunque si sia impegnato: nella famiglia, nella sua umanità, nella politica, nello sport e con gli amici. Forse non ci rendiamo ancora conto di ciò che abbia fatto con la televisione e nel mondo della comunicazione, dove Silvio ha dato sviluppo e lavoro a migliaia di persone. Ma la cosa più bella era la sua umanità, per capire chi era basta raccontare un gesto che per lui era un’abitudine».
Ci dica…
"Silvio accompagnava sempre tutti gli ospiti alla porta e così faceva anche con me. Io una volta gli dissi: “Silvio, ma non preoccuparti, sono tuo fratello, non è necessario“. E lui: "Invece è necessario...“. E stava lì, sull’uscio, finché non andavo via”.
E lei ha mai avuto un pensiero particolare per suo fratello?
"Fargli un regalo non era facile perché lui mi aveva sempre fatto doni bellissimi. Allora preparai un opuscolo con dei ricordi, dove si parlava anche di calcio. Per esempio quando giocavamo nell’Edilnord e vincemmo 3-0 contro il Milan di Zagati, io realizzai due gol. Questo libro Silvio lo apprezzò tantissimo”.
Adolescenza e gioventù trascorse a pane e pallone...
"Certo, come quando venne a prendermi dai Salesiani. Io avevo 16 anni e lui mi disse: ti porto ad Appiano per fare un provino con l’Inter. Sì, ha capito bene, con i nerazzurri. Alla fine del primo tempo ero già nello spogliatoio”.
E poi c’erano le prime domeniche trascorse a San Siro…
"Mio papà ci portava sempre allo stadio, per il Milan e non solo. Con gli amici si andava anche a vedere l’Inter, anche di questo mia madre veniva informata. La domenica era sacra”.
Ad oggi, c’è qualcuno che a suo giudizio può essere considerato l’erede di Silvio Berlusconi?
"Ah guardi, nella politica è impossibile. Sono grato e apprezzo Tajani perché non è il “delfino“, ma il continuatore e l’interprete del suo pensiero democratico e liberale, quello che ha sempre portato avanti da quando è entrato in politica”.
E nel calcio invece?
"Teoricamente potrebbero esserci tanti eredi, anche nel futuro prossimo arriveranno molti Presidenti che faranno la loro storia perché non è stato mio fratello a inventare il calcio. Ma quello che ha vinto più di tutti è stato e sarà sempre Silvio: sicuramente innovativo, passando dall’invenzione di Arrigo Sacchi all’intuizione di Capello e Ancelotti, uno di quelli che continua a vincere. Senza dimenticare i tanti campioni scoperti e portati in maglia rossonera. Quando ripenso ai calciatori che abbiamo avuto al Milan mi sembra tutto incredibile, in una stagione c’erano ben 3 palloni d’oro in rosa».
Ci sono stati dei giocatori con cui Silvio Berlusconi ha avuto un feeling particolare?
"Direi che Shevchenko e Kakà sono stati i campioni con i quali mio fratello ha costruito un rapporto speciale, poi altri che hanno seguito la sua “mission“ politica come Weah e Kaladze. Però non è giusto fare una lista perchè ci sono stati tantissimi calciatori che piacevano a mio fratello".
La certezza è che il Milan è stato uno degli amori più belli e intensi.
"Mi ricordo quando diceva che avrebbe voluto far diventare il Milan la squadra più forte del mondo e tutti si mettevano a ridere. Sappiamo quanto sia stato difficile vincere, lui c’è riuscito contro tutti e lo slogan che oggi abbiamo trasmesso al Monza («Chi ci crede combatte, supera gli ostacoli e vince») incarna perfettamente questo spirito”.
Così come la ricerca del bel gioco e l’educazione nei calciatori...
"Sì, vero. Silvio ha sempre voluto dare alle proprie squadre l’idea del bel gioco e del rispetto degli avversari. Ricordate tutti quando voleva evitare che i calciatori si facessero i tatuaggi o portassero i capelli lunghi, ma insieme a Galliani capimmo che sarebbe stato difficile prendere dei giocatori”.
Oggi con che occhi guarda il Milan?
"Con quelli del tifoso innamorato, così come lo sono del Monza. Solo che quando vedevo i rossoneri fare un continuo tic toc di passaggi all’indietro, confesso di aver guardato l’Inter che aveva un gioco più verticale”.
A proposito del Monza. Da cosa nasce l’idea di prendere il club brianzolo?
"È stata un’avventura decisa insieme a mio fratello, perchè c’è stato un momento in cui sentiva molto la mancanza del Milan. Parlava sempre dei rossoneri con Galliani anche quando il club era già stato ceduto. Il Monza oggi è il Milan, è il nostro presente. Silvio ha preso il Monza in Serie C e adesso è stabilmente in Serie A, questo è il presente”.
E il futuro?
"E chi lo sa, vedremo”.