Milano - «Mi trovo in un orfanotrofio a Likoni come volontaria per Orphan’s Dreams onlus e vorrei chiedervi un piccolo aiuto per ampliare la struttura e accogliere sempre più bambini che hanno bisogno di condizioni di vita dignitose e serenità. Dopo più di due settimane posso garantirvi al 100% la serietà, l’onestà e l’amore da parte di chi lavora per questi esseri speciali". Così scriveva nell’agosto 2018 su Facebook Silvia Romano, la cooperante milanese che qualche mese dopo, a novembre, fu rapita da una banda locale, per poi essere liberata il 9 maggio 2020 a valle di una lunga e delicatissima operazione di intelligence. Quello fu il suo primo periodo come volontaria in Africa, seguito nell’autunno dello stesso anno dalla seconda esperienza (terminata in modo traumatico) con la onlus Africa Milele.
Già all’epoca , l’anima di Orphan’s Dreams – organizzazione senza scopo di lucro con sede legale a Seregno che raccoglie fondi per migliorare le condizioni di vita di ragazzi senza genitori e nuclei familiari in gravi difficoltà economiche nella contea di Mombasa – era Davide Ciarrapica, trentaquattrenne originario di Desio che sui social posta foto con i bambini che aiuta ogni giorno. E che ora rischia seriamente di dover abbandonare quel progetto di vita. Sì, perché nel frattempo la Cassazione ha reso definitiva la condanna a 6 anni di reclusione (con provvisionale di 35mila euro) emessa in primo grado nel 2019 e confermata nel 2021 dalla Corte d’Appello.
L’accusa: lesioni personali gravissime con sfregio permanente del viso. I fatti risalgono, secondo quanto ricostruito dalle indagini della polizia coordinate dal pm Maria Letizia Mocciaro, alla notte del 5 novembre 2016: Ciarrapica, in concorso con altre due persone non identificate, aggredisce all’interno della discoteca The Wall di Milano G.G., lo colpisce con un pugno al volto e gli assesta un violentissimo morso all’orecchio sinistro fino a strappargli di netto il lobo, procurandogli "lesioni personali consistite da morso al padiglione auricolare sinistro con perdita pressoché completa dell’elice, tumefazione retroauricolare mastoidea, tumefazione zigomatica e periorbitaria sinistra, tumefazione dela piramide nasale, escoriazioni al collo e alla regione sternale".
Come si legge nelle motivazioni del verdetto della Suprema Corte, il legale di Ciarrapica ha parlato nel ricorso di "travisamento della prova", contestando nell’ordine: la versione di un testimone, l’esito negativo del riconoscimento fotografico del presunto autore da parte di un testimone oculare, le dichiarazioni di G.G. (assistito dall’avvocato Guido Bomparola) e "l’effettiva sussistenza di uno sfregio permanente del viso". Detto che l’istanza è stata ritenuta inammissibile perché presentata fuori tempo massimo (il 19 novembre, ben oltre la scadenza del 22 ottobre), i giudici sono comunque entrati nel merito, smontando pezzo per pezzo l’intera linea difensiva.
Primo: "L’imputato è stato riconosciuto, anche in dibattimento, come l’autore dell’aggressione e del morso all’orecchio". Secondo: "Il testimone oculare lo ha visto calciare la vittima a terra, inerme, non lo ha perso di vista, lo ha individuato mentre usciva dal locale controllando le immagini delle telecamere di sorveglianza, lo ha riconosciuto da una fotografia estratta da Facebook". Terzo: la dinamica alternativa raccontata da Ciarrapica (che ha spiegato di essere intervenuto per fermare un ignoto aggressore, che avrebbe ferito all’orecchio G.G. con un anello con diamante che portava al dito) "è stata smentita non solo dalle dichiarazioni della persona offesa e del testimone oculare, ma anche dal dato obiettivo riscontrato dai sanitari: la lesione all’elice recava il segno di un morso". Conclusione: confermata la condanna a 6 anni.