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Simona Atzori: "A sette anni il Piermarini mi ha insegnato a sognare. Ora sogno di poterci ballare"

Ballerina e pittrice, sogna di danzare al Teatro alla Scala di Milano, luogo che ama più di ogni altro. "A 7 anni in quella magica sala ho visto il mio primo spettacolo, il “Bolero” di Ravel. Ho sentito nascere in me una determinazione che mi ha aiutata a vincere le sfide successive" di Massimiliano Chiavarone

Simona Atzori

Milano, 6 settembre 2015 -  «Milano per me è inizio, sogno, divenire». Lo racconta Simona Atzori, ballerina e pittrice.

E’ entrata presto questa città nella sua vita? «Sì, perché ci sono nata. Ho spalancato gli occhi per la prima volta all’ospedale Fatebenefratelli, ma poi siamo subito ritornati a Gerenzano, in provincia di Varese dove stavano i miei».

Un’infanzia tranquilla? «Sono senza braccia, ma ma non ricordo di essere cresciuta in un clima di tensione, paura e sofferenza. Grazie ai miei genitori. Sin da piccola mi hanno insegnato a concentrarmi su ciò che la realtà ci portava a scoprire e a fare. Una realtà, la mia, diversa da quella che accomuna la maggior parte delle persone. Ma per me è stata una risorsa».

Insomma come si dice “stava sul pezzo”? «Non mi sono mai sentita limitata, a parte il fatto di avere le mani in basso, nel senso che le sostituisco con i piedi. E a 1 anno facevo già la spaccata».

Ha cominciato a ballare prima di camminare? «A 6 anni ho iniziato a studiare danza. E un anno dopo Milano è tornata prepotentemente nella mia vita».

Grazie al Teatro alla Scala? «Sì, è il luogo della città che amo più di ogni altra cosa. A 7 anni in quella magica sala ho visto il mio primo spettacolo, il “Bolero” di Ravel. Ho sentito nascere in me una determinazione che mi ha aiutata a vincere le sfide successive».

Quali per esempio? «Non poter più ballare. A 11 anni mi avevano diagnosticato la scoliosi e prescritto di mettere il busto ortopedico giorno e notte. Per me fu una tragedia. Mia madre, però, mi disse che nulla era compromesso perché la danza era un’ottimo esercizio per tenere in equilibrio il corpo. E aveva ragione. Continuai a ballare. Il busto lo mettevo solo la sera. Ho fermato la curvatura della schiena e con la danza ho migliorato la postura e reso più elastica la spina dorsale».

Ma, del resto, non poteva fermarsi c’era Milano che la aspettava. «Sì, anche se mi sono sempre sentita una ragazza di campagna. Da bambina giocavo scalza nei campi, tra le galline. Ero un po’ Heidi, con mio nonno che mi seguiva sempre, anzi forse ero più Clara, ma anche lei poi impara a “camminare”. In quella routine sempre uguale e protettiva del mio paese, a un certo punto, irrompeva l’idea di Milano. Quando ero ragazzina in città ci venivo circa una volta al mese per il dentista. Dopo la visita, con mia madre ci prendevamo un momento tutto per noi e andavamo in centro a passeggiare in Galleria e vedere la Scala. Era un percorso obbligato e che mi dava appagamento».

Milano c’è sempre stata? «E’ una città che accoglie la diversità, che ci convive, ci dialoga. Oggi molto più di qualche anno fa. Lo dico pensando anche al mio percorso formativo e artistico. Dopo il diploma mi ero iscritta alla facoltà di Lingue dell’Università Cattolica. Nel frattempo continuavo a danzare e anche a dipingere. Alla pittura mi sono avvicinata sempre da piccola.  Volevo iscrivermi all’Accademia di Brera, ma mi proposero solo corsi serali. Allora decisi di seguire mia sorella in Canada, a London, vicino Toronto. Lì mi sono laureata nel 2001 in Visual Arts e come tesi ho presentato un lavoro interdisciplinare tra danza e pittura. Ma poi sono tornata in Italia».

E si è impegnata nella sua carriera artistica a cominciare dalla danza? «Sì, collaboro con due ballerini della Scala, Marco Messina e Salvatore Perdichizzi con cui ho ballato al Teatro della Luna in alcuni spettacoli ideati da me e basati sui miei libri. Dalla Scala e dal mondo della danza mi sono arrivati tanti segnali positivi, come l’invito che mi ha fatto Roberto Bolle di esibirmi in due tappe nel suo “Bolle and friends”. E poi Luciana Savignano che ho ritrovato al Dance Festival di Pescara a cui entrambe eravamo invitate. Anche da lontano Milano mi segue sempre».

Le piace così tanto? «Sì, venirci mi fa sentire diversa ogni volta. Forse perché mi dà la sensazione che ci sia sempre qualcosa di nuovo che può accadere davanti ai miei occhi».

Ha parlato anche di un sogno. Quale? «Quello di ballare alla Scala. Quel teatro mi ha portato fortuna e mi ha aiutato a realizzare i miei sogni. Ora l’ultimo, il più bello, forse resterà sempre un sogno, ma se devo sognare, preferisco farlo alla grande!».

di Massimiliano Chiavarone

mchiavarone@yahoo.it