di Andrea Gianni
Per il 52% dei dipendenti pubblici milanesi capita "spesso o qualche volta" di essere contattato fuori dall’orario di lavoro. Il 67% desidererebbe continuare lo smart working anche dopo l’emergenza. Per il 71% il gradimento è "alto", ma per il 13% (in maggioranza donne) "tempi di cura e lavoro si intrecciano tra loro", con tutte le difficoltà connesse alla gestione della famiglia. Luci e ombre dello smart working al centro di un sondaggio della Cgil e della Fondazione Di Vittorio, che hanno raccolto le opinioni di 1571 dipendenti dei Comuni di Milano, Sesto San Giovanni e San Donato, Inps, Agenzia delle Entrate e ministero dei Trasporti. "Nella maggior parte dei casi lo smart working non è stato certo una vacanza", spiega Natale Cremonesi, segretario della Fp Cgil di Milano. Impiegati, soprattutto i più giovani, che promuovono con riserve il grande esperimento obbligato dall’emergenza sanitaria che ha accelerato processi e ha aperto incognite sul futuro. Con l’emergenza sanitaria ha lavorato da casa il 92% del campione, mentre prima i numeri erano limitati all’8%.
Per il 51% i carichi di lavoro sono rimasti gli stessi rispetto a prima, per il 35% sono aumentati mentre solo per il 9% sono diminuiti. E il lavoro è cambiato, parzialmente o meno, per la maggioranza degli intervistati (64%). Solo il 46% non viene mai contattato fuori orario dal capo o dai colleghi, mentre il 39% segnala episodi in cui "organizzazione, tempi e modalità del lavoro erano diversi da quanto concordato".
Problemi si aprono anche sul capitolo connessione a internet. Il 3% degli intervistati ha dichiarato di non possedere una connessione, e quindi non può lavorare al computer. Il 14%, poi, ha una connessione limitata. Solo l’11% possiede un computer fornito dall’azienda, percentuale che scende al 2% per i tablet e per le cuffie, necessarie per le videoconferenze. E un altro fronte si apre parlando del bilanciamento dei tempi di vita e di lavoro. Solo il 37% ha notato di avere più tempo libero lavorando da casa, e il 53% (in maggioranza uomini) ha espresso "soddisfazione per il bilanciamento dei tempi di lavoro, cura e tempo libero". Per l’84% lo smart working ha portato come conseguenza una alimentazione più sana, per l’88% la possibilità di tenersi aggiornato, per il 77% più salute fisica e mentale. Tra gli aspetti positivi l’organizzare al meglio i diversi aspetti della vita, evitare il tragitto casa-lavoro. Poi ci sono le ombre, in primo luogo la "solitudine nel lavoro" (46%), avere "meno occasioni di confronto e scambio" (63%).
Tirando le somme, in generale, il livello di soddisfazione per lo smart working è "alto" per il 71% degli intervistati, quasi alla pari tra uomini e donne, "basso" per il 10% e "medio" per il 19%. "Sono dati che invitano a una riflessione – prosegue Cremonesi – anche per lavorare sugli aspetti più critici e migliorarli, uscendo dagli stereotipi. Ad esempio all’Inps ha lavorato da casa l’80% del personale, che si è trovato a gestire una quantità enorme di pratiche. Non certo una vacanza". Tra le proposte "investito tecnologico e in infrastrutture" e in "aggiornamento e formazione" con un management "per fasi di vita e di età".