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Forze dell'ordine sul luigo della sparatoria
Milano, 19 febbraio 2025 – I bossoli forse spostati lontano dal punto in cui sono atterrati e certamente a una distanza inusuale dal sangue che colora di rosso lo sterrato. Le fioriere abbattute da un’auto, dicono i residenti, ma molto più verosimilmente tirate giù di proposito per simulare una scena del crimine tutt’altro veritiera. E poi non una, ma ben tre.
I feriti portati in ospedali differenti della zona, nonostante siano parenti strettissimi e si trovino esattamente nelle stesse condizioni: azzoppati dai colpi che li hanno feriti in un caso alla parte alta della coscia e in un altro alla parte bassa di entrambe le gambe.
Una serie di stranezze – se non proprio la sequenza di un abborracciato depistaggio – che fa supporre agli inquirenti che le cose non siano andate come nel racconto degli abitanti del campo rom di via Chiesa Rossa, anche perché alcune versioni – evidentemente non ancora concordate – presentano buchi e contraddizioni.
L’allarme
L’allarme scatta attorno alle 21.30 di lunedì, quando Marco Deragna, 58 anni compiuti a ottobre, viene scaricato al pronto soccorso dell’Humanitas da una macchina che ha appena sfondato la sbarra d’ingresso e che poi riparte a tutta velocità sotto gli sguardi terrorizzati di operatori sanitari e pazienti.
Negli stessi minuti, al San Paolo finisce il figlio Kevin, 29 anni: un nome e un cognome che lo legano direttamente alla maxi rissa tra famiglie rivali del 5 novembre 2013 in un altro centro clinico, il San Raffaele, che finì con la morte del quarantanovenne Luca Braidich; delle sprangate letali fu accusato proprio l’allora diciottenne, arrestato con altri tre familiari. Gli squarci fanno subito capire ai medici quale ne sia l’origine; e di conseguenza partono immediatamente le chiamate alla centrale operativa dei carabinieri, che prima di allora nessuno aveva sollecitato dall’insediamento su un raid avvenuto almeno mezz’ora prima.
Il campo
Quando le pattuglie del Nucleo Radiomobile arrivano in via Chiesa Rossa con sirene e lampeggianti accesi, non ci trovano gli uomini del campo: alcuni sono in ospedale a fare numero; altri si sono probabilmente allontanati dal retro, correndo verso il Gratosoglio per dribblare domande e controlli. Ai cancelli ci sono solo donne e bambini che urlano. Il caos va avanti per diversi minuti, ma non riesce a ostacolare la verifica più urgente: quella che serve a escludere le voci incontrollate e più allarmanti che parlavano addirittura di un morto. Per fortuna non è così. Quello che resta è una scena che a un occhio esperto pare modificata ad arte per confondere le acque e ostacolare gli accertamenti: tracce ematiche se ne trovano poche (altro particolare che non torna) nelle villette della primissima schiera, quelle in cui vivono i Deragna, e sembrano pure ripulite in fretta e furia.
Il blitz
La versione ufficiale che filtra dal campo parla di quattro uomini incappucciati piombati all’improvviso su un’Audi A3 nera: si parla di una rapina, di un borsello sparito e dell’aggressione a colpi di pistola iniziata all’esterno e proseguita all’interno. Peccato che al momento non ci sia traccia nelle telecamere del passaggio della station wagon. Di bossoli a terra se ne contano undici, tutti calibro 9: sono stati esplosi dalla stessa arma? E ce ne sono pure due a salve, repertati come gli altri dalle tute bianche della Sezione investigazioni scientifiche di via Moscova.
L’indagine
L’indagine diventa sin da subito materia per i carabinieri del Nucleo operativo della Compagnia Magenta e per gli specialisti del Nucleo investigativo del Comando provinciale, guidati dal colonnello Antonio Coppola e dal tenente colonnello Fabio Rufino.
Stando a quanto emerso al momento, l’ipotesi del commando arrivato al confine tra Milano e Rozzano con un obiettivo preciso non pare convincere troppo chi sta provando a fare chiarezza in un contesto tutt’altro che agevole. Inizialmente, si era pensato pure a un riverbero del violentissimo scontro tra famiglie rom (veicoli speronati, molotov e camper in fiamme) che sta incendiando da giorni la periferia nord di Torino, ma non ci sono legami tra il contesto piemontese e quello di Chiesa Rossa.
Un’alternativa considerata ben più credibile, per quanto dai contorni ancora sfocati, porta a una faida tutta interna al campo che dovrebbe essere smantellato entro la fine di quest’anno. Uno sgarro da punire. Anche a costo di attirare attenzione.