ANDREA GIANNI
Cronaca

Strage in tribunale a Milano, paga la guardia: "Non si accorse dell'arma del killer"

Ribaltata la sentenza di primo grado ma il vigilante andrà in Cassazione

Controlli in tribunale

Controlli in tribunale

Milano, 30 ottobre 2018 - «Sono il capro espiatorio in questa vicenda, l’unico a pagare e a finire in rovina per quello che è successo». Per Roberto Piazza, uno dei sorveglianti in servizio al Palazzo di giustizia di Milano il 9 aprile 2015, quando l’immobiliarista fallito Claudio Giardiello uccise tre persone a colpi di pistola, ieri è arrivata una doccia gelata. La Corte d’Appello di Brescia ha ribaltato l’assoluzione con formula piena incassata in primo grado, condannandolo a tre anni di carcere per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose e una provvisionale di un milione e 70mila euro da versare alle parti civili, in attesa che venga stabilita in sede civile l’entità del risarcimento. È l’unico condannato - ultimo anello della catena - per le falle nei sistemi di sicurezza che consentirono a Giardiello di compiere il suo raid omicida ammazzando l’avvocato Lorenzo Claris Appiani, il suo coimputato Giorgio Erba e il magistrato Fernando Ciampi. Altre due persone rimasero ferite. 

Giardiello sta scontando una condanna definitiva all’ergastolo. E l’inchiesta sulle responsabilità ha portato al processo a carico di Roberto Piazza (la posizione di un suo collega è stata archiviata), il vigilante della società privata All System che quella mattina presidiava l’accesso di via San Barnaba. Spettava a lui controllare, dal monitor collegato con il metal detector, il contenuto di borse, zaini, giacche e altri effetti personali di chi entra in Tribunale. Secondo l’ipotesi formulata dalla procura di Brescia (titolare delle indagini perché, tra le vittime della sparatoria, c’era anche un giudice, Fernando Ciampi, del Tribunale civile di Milano), non si sarebbe accorto della pistola che Giardiello aveva nascosto nel suo borsello: colpevole di una «grave e prolungata disattenzione» nei controlli. 

Un'accusa basata soprattutto sulle dichiarazioni rese subito dopo la sparatoria dall’immobiliarista, che assicurò di aver portato l’arma in tribunale quella stessa mattina, riuscendo a beffare Piazza. Lo stesso Giardiello, però, con un clamoroso dietrofront ritrattò quella versione: «La pistola l’avevo introdotta e nascosta nel Palazzo di Giustizia tre mesi prima della strage». Una confessione che non ha tuttavia trovato riscontri investigativi. Secondo i giudici della Corte d’Appello che hanno condannato Piazza accogliendo la richiesta del sostituto pg Silvio Bonfigli, Giardiello portò invece l’arma in Tribunale la mattina stessa della sparatoria e il vigilante che doveva controllarlo non si accorse di nulla, anche se dal monitor si vedevano delle macchie scure nella borsa. «Mi hanno condannato senza alcuna prova – spiega Piazza dopo la sentenza – il mio è stato un regolare controllo, e finora nessuno è riuscito a spiegare con certezza come abbia fatto a portare l’arma all’interno. Io vado avanti con la mia battaglia, davanti alla Cassazione».

Piazza, assistito dall’avvocato Giacomo Modesti, nel frattempo si è trasferito in Veneto, dove ha trovato un altro lavoro. Ieri ha incontrato in aula Aldo Claris Appiani, il padre dell’avvocato ucciso, che nel processo di primo grado aveva ritirato la costituzione di parte civile, convinto che il vigilante sia «solo un capro espiatorio». «Abbiamo assistito a uno scarico di responsabilità senza precedenti da parte della dirigenza giudiziaria e amministrativa – sottolinea Claris Appiani – che non vuole rispondere delle sue responsabilità».