ANDREA GIANNI
Cronaca

L’archistar Stefano Boeri, i primi 10 anni e i segreti del Bosco Verticale: “La prova del successo? Dylan Dog”

Così racconta la sua idea: uomini e natura convivono. In città sacche di degrado, ma non c’è la banlieue

Stefano Boeri e il Bosco verticale

Nelle immagini inedite scattate da Iwan Baan alcune viste del Bosco Verticale così come descritto nel libro Morphology of a Vertical Forest edito da Rizzoli per celebrare il decimo anniversario del progetto Oggi alle 18 al Teatro Parenti a Milano sarà presentato il volume In alto, Stefano Boeri

Milano, 2 novembre 2024 “Ho capito che il Bosco Verticale sarebbe diventato importante non quando ha vinto il premio per il miglior grattacielo del mondo ma quando, qualche mese dopo, ho ricevuto dal grande Giuseppe Montanari l’immagine di Dylan Dog e Groucho che guardavano perplessi questa strana, bizzarra, alta casa per alberi, umani e uccelli nel cuore di Milano”.

L’architetto Stefano Boeri racconta un edificio diventato uno dei simboli di Milano ma anche un’icona pop protagonista di film, spot pubblicitari, libri e canzoni. Sono trascorsi 10 anni dall’inaugurazione, nell’autunno 2014, del Bosco Verticale milanese realizzato da Boeri Studio e gestito da Coima. Un edificio che ha creato un modello esportato in tutto il mondo, dai Paesi Bassi alla Cina. Per celebrare il decennale è stato realizzato un libro edito da Rizzoli e curato da Stefano Boeri Architetti che oggi, alle 18, verrà presentato al Teatro Parenti.

Stefano Boeri, tornando alle origini come è nata l’idea del Bosco Verticale?

“Era un’idea che covavo da tempo, nel 2007 mi trovavo per il Forum delle città a Dubai e osservando quella metropoli fatta di torri in mezzo al deserto mi sono deciso a proporla a Gerald Hines e Manfredi Catella. Al contrario di Dubai, l’idea era quella di un’architettura sostenibile e inserita nel contesto ambientale, con una facciata vivente, biologica e verde in grado anche di ridurre il consumo di energia. Hines e Catella hanno detto che era una follia, ma mi hanno posto alcuni quesiti pratici chiedendomi di tornare tre mesi dopo con una possibile soluzione. Mi sono messo al lavoro con una squadra di amici, tra cui ingegneri, etologi e botanici. Sono tornato da loro tre mesi dopo, li ho convinti e alla fine il progetto è partito”.

Quali complicazioni sono sorte durante la realizzazione dell’edificio?

“Uno degli aspetti più complessi è stato il fissaggio delle radici per fare in modo che resistessero anche in situazioni di forte ventosità, e per questo abbiamo effettuato lunghi test nella galleria del vento al Politecnico di Milano e poi a Miami. Un’altra complicazione, di carattere diverso, è sorta durante la crisi del 2008-2009. L’impresa che stava costruendo il Bosco è fallita, e per un anno e mezzo il cantiere è rimasto bloccato”.

Che cosa rappresenta il Bosco Verticale per la città di Milano?

“È una scommessa vinta, perché l’edificio sembrava impossibile da realizzare. Un ecosistema fatto di terra, cemento, acciaio, vetro e da 21.000 piante, 360 esseri umani, 20 specie di uccelli e innumerevoli insetti. È un manifesto politico, per città più verdi e sostenibili, un edificio in continuo cambiamento. Poi è un’architettura che, nonostante ci siano alcuni detrattori, piace: ha dato vita a un modello che è stato esportato in tutto il mondo, fino in Cina. Ma la cosa che più mi riempie di gioia è l’accoglienza che riceve da parte dei bambini”.

Un modello che potrebbe essere replicato anche nelle periferie più degradate?

Il Bosco Verticale è stato pensato per famiglie con un certo tipo di reddito, ma la nostra idea è che questo tipo di architettura debba essere accessibile a tutti. Ad esempio in Olanda, a Eindhoven, abbiamo realizzato un Bosco con tutti gli appartamenti affittati a giovani con la formula del social housing. Forse il Bosco di Eindhoven - tra la dozzina che abbiamo realizzato e altrettanti in cantiere - è quello a cui sono più legato, perché dimostra che non è solo un grattacielo per ricchi. Il grande tema delle periferie, anche milanesi, è la creazione di un mix sociale, altrimenti quando la stessa popolazione si concentra nella stessa area il quartiere diventa un ghetto. La varietà è fondamentale, e in questa sfida l’architettura ha un ruolo importante. A Milano ci sono alcune sacche di degrado anche vicino al centro, come via Gola, ma il paragone con le banlieue francesi non regge”.