REDAZIONE MILANO

Strage di piazza Fontana, il ricordo di Paolo Silva: “Papà e lo strazio all’obitorio, io continuerò a raccontare”

Maratona nelle scuole a 82 anni. “Favorevole a una via per Pinelli, invito i giovani a difendere la Costituzione. E a Freda direi: ho perso il padre, a lei la parola”

L’atrio della Banca Nazionale dell’Agricoltura dopo l’esplosione, Nei riquadri, Paolo Silva e il padre Carlo

L’atrio della Banca Nazionale dell’Agricoltura dopo l’esplosione, Nei riquadri, Paolo Silva e il padre Carlo

Milano – Il ricordo di Paolo Silva, 82 anni, torna alle vacanze estive in Trentino, quando il padre Carlo “si nascondeva dietro un pino per farci ‘cucù’, ma era corpulento e spuntava la sua pancia”. Un uomo che, fatto prigioniero nella disfatta di Caporetto, “si arrabbiava se lasciavamo le briciole sul tavolo”, perché aveva conosciuto la fame. Il ritorno dal lavoro, una sera, con l’inaspettato dono di un disco di Elvis Presley per i figli.

Scene di vita familiare, fino a quando la vita di Carlo Silva, agente di commercio 71enne, è stata spazzata via dalla bomba scoppiata alle 16.37 del 12 dicembre 1969 nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana, che provocò 17 morti e 88 feriti. Vittime dell’attentato del gruppo di estrema destra Ordine Nuovo che questa settimana Milano ricorda, nel 55esimo anniversario. Oggi il corteo, da piazza della Scala fino a piazza Fontana. “Ho 82 anni e 7 mesi e finché le forze me lo consentiranno continuerò a raccontare”, spiega Paolo Silva, in campo con l’Associazione piazza Fontana 12 dicembre ’69 presieduta da Federico Sinicato.

Dove si trovava quando scoppiò la bomba?

“Nel 1969 io avevo 27 anni e mio fratello Giorgio 28. Quel giorno stavo passando in Galleria quando ho sentito le sirene. Sono tornato verso casa e il benzinaio mi ha detto che era scoppiata una bomba in piazza Fontana. Io sapevo che mio padre si trovava lì. Abbiamo preso la macchina e siamo andati, ricordo l’odore acre di mandorle amare. In un primo momento papà non risultava tra i morti e i feriti, poi la Questura ci ha convocati all’obitorio per l’identificazione del cadavere, ed è crollata ogni speranza. Non dimenticherò mai quello che ho visto: corpi in condizioni disumane, bruciati, martoriati. La valigia con la bomba era stata lasciata proprio ai piedi di mio padre. Abbiamo risparmiato a nostra mamma quella la scena”.

Ai funerali c’erano 300mila persone, una città in lutto.

“Ricordo il silenzio, tanto che sentivo il rumore dei tacchi delle mie scarpe, gli operai e gli studenti arrampicati sui lampioni. Quando l’allora presidente del Consiglio Mariano Rumor venne da noi ci rifiutammo di stringergli la mano. Ci disse: “Vi garantisco che i responsabile verranno assicurati alla giustizia“. Poi si è visto come è andata. Da quel giorno, inoltre, tante famiglie sono rimaste senza alcun sostentamento, la legge che ha istituito gli indennizzi è arrivata solo nel 2004”.

Il ferroviere anarchico Pino Pinelli è considerato la diciottesima vittima della strage. Che cosa ne pensa della petizione per intitolare a lui via Micene?

“Condivido la proposta, ma purtroppo non penso che verrà accolta. Sul moglie, Licia Pinelli, era un’amica. Mi ha sempre colpito la sua grande dignità”.

C’è una memoria storica, tra i giovani, sulla strage?

“I depistaggi dell’epoca fanno sentire ancora i loro effetti. In passato abbiamo condotto una ricerca tra gli universitari, e il 40% di loro attribuiva le responsabilità alle Brigate Rosse. Non è colpa degli studenti, ma è colpa degli insegnanti e di come viene insegnata la storia. I giovani, dopo aver ascoltato in silenzio le nostre testimonianze, pongono domande importanti. A Merate un liceale mi ha chiesto se credo nelle istituzioni”.

Che cosa ha risposto?

“Che non ho figli e amo voi giovani, perché siete il nostro futuro, e dovete difendere con i denti la nostra Costituzione. Dico ai giovani di andare a votare, di muoversi, di ribellarsi ma sempre in maniera pacifica”.

Avverte il pericolo di un ritorno al passato, al fascismo?

“Non vedo questo pericolo, ma piuttosto un tentativo di riscrivere la storia distorcendo i fatti”.

Quella di piazza Fontana è anche una storia di depistaggi e di giustizia negata.

“Grazie anche alle indagini riaperte da Guido Salvini sono state accertate le responsabilità di Ordine Nuovo, solo che Freda e Ventura non sono stati condannati. Ci siamo rimasti malissimo, ci siamo tolti gli abiti di figli delle vittime e abbiamo cominciato a raccontare. A volte mi viene chiesto se sarei disposto a perdonare. Ma chi dovrei perdonare? Gli apparati dello Stato? I servizi segreti? Sarei disposto a incontrare Freda, a guardarlo negli occhi. Gli direi: io ho perso mio padre, a lei la parola...Racconterei quello che è successo, se fossero disposti ad ascoltare, anche a Casa Pound”.