ANDREA GIANNI
Cronaca

Strage in tribunale a Milano, giustizia lumaca: sette anni di rinvii, risarcimenti fermi

Un avvocato e due giudici uccisi dagli spari dell’immobiliarista fallito Claudio Giardiello. "Questa situazione aumenta il senso di abbandono"

Claudio Giardiello

Claudio Giardiello

Milano -  Una messa nella chiesa di San Pietro in Gessate, di fronte al Palazzo di giustizia di Milano, ha ricordato l’avvocato Lorenzo Claris Appiani, il giudice Fernando Ciampi e Giorgio Erba, uccisi sette anni fa dall’immobiliarista fallito Claudio Giardiello, che riuscì a introdurre una pistola in Tribunale e a sparare indisturbato la mattina del 9 aprile 2015. L’unica cerimonia, organizzata dall’associazione dei giuristi cattolici, per una strage dimenticata, che aprì un fiume di interrogativi sulla sicurezza negli uffici pubblici. Resta il dolore dei familiari delle vittime e una battaglia che si sta scontrando con una giustizia lumaca. Era il settembre del 2018 quando dopo una lunga attesa si celebrò a Milano la prima udienza, davanti al Tribunale civile, della causa intentata dai familiari di Lorenzo Claris Appiani contro il ministero della Giustizia, il Comune di Milano e la società di vigilanza privata All System per le falle nel sistema di sicurezza che consentirono all’uomo di entrare armato e compiere una strage. Procedimento che, nel 2019, fu trasferito da Milano a Brescia.

Da allora si è trascinato fra cavilli e lunghi rinvii, mentre la pandemia scoppiata nel 2020 ha inceppato una macchina già lenta. Così la prossima udienza è stata fissata addirittura a marzo 2023, otto anni dopo la strage. E si tratta solo del primo grado di giudizio, step iniziale per ottenere un eventuale risarcimento da parte di istituzioni e società private responsabili a vario titolo della sicurezza nella cittadella della giustizia milanese, costruita in epoca fascista sotto la direzione dell’architetto Marcello Piacentini. "Una situazione che aumenta il nostro senso di abbandono – spiega Aldo Claris Appiani, il padre dell’avvocato ucciso a 37 anni – noi stiamo portando avanti questa battaglia per far emergere le responsabilità sulla catena di errori e inadempienze, perché Giardiello poteva essere fermato prima".

L’unico a pagare, per ora, è stato Roberto Piazza, il vigilante in servizio all’ingresso del Palazzo di giustizia quando Giardiello, alle 8.48 del 9 aprile 2015, schivando controlli e metal detector riuscì a entrare con la Beretta calibro 9 usata per ammazzare tre persone e ferirne altre due. Un raid contro coloro che, nei suoi vaneggiamenti, riteneva responsabili del fallimento. Anche Piazza è finito al centro di un “cortocircuito giudiziario“. È stato assolto in primo grado a Brescia e poi condannato in appello a 3 anni di carcere. La Cassazione ha annullato la sentenza, disponendo un nuovo processo d’appello sfociato in una nuova condanna a 2 anni e mezzo. Il vigilante, che si è sempre proclamato innocente, è morto l’anno scorso stroncato da un infarto, all’età di 51 anni. «È stato un capro espiatorio – spiega Aldo Claris Appiani – nel processo a suo carico avevamo anche ritirato la nostra costituzione come parti civili. Sono rimasto molto colpito e dispiaciuto per la sua morte. Ho sentito sua moglie, Piazza era molto provato per la condanna". Anche la saga giudiziaria del 64enne Giardiello, che riuscì a uscire dal Palazzo di giustizia approfittando della confusione e fu arrestato dopo una breve fuga, non si è conclusa con la condanna definitiva all’ergastolo.

Negli anni successivi al 2015, come emerge dalle sentenze depositate in Cassazione, ha continuato a dare battaglia nei rivoli giudiziari seguiti al fallimento nel marzo 2008 della sua società, la Magenta Srl. L’ultimo suo ricorso, sulla bancarotta fraudolenta, è stato dichiarato inammissibile nel 2020. Un anno prima era stato bocciato anche un vecchio ricorso, sempre su questioni legate al fallimento, contro il nipote Davide Limongelli, che fu ferito nel raid del 2015. Era anche lui nella lista delle persone finite nel mirino dell’immobiliarista, che non ha ancora versato un euro di risarcimento ai familiari delle sue vittime.