SIMONA BALLATORE
Cronaca

Stranieri in classe, la sfida dell’integrazione. Il rettore della Bocconi, Billari: "Ci giochiamo il futuro del nostro Paese”

Il demografo, al vertice dell’università milanese: “Il sistema scolastico è ancorato a un mondo che non c’è più. Non possiamo rischiare di perdere dei talenti”

Francesco Billari, 54 anni, statistico e demografo, è rettore dell’Università Bocconi di Milano dal primo novembre 2022

Francesco Billari, 54 anni, statistico e demografo, è rettore dell’Università Bocconi di Milano dal primo novembre 2022

Milano – “Abbiamo un sistema scolastico ancorato a un mondo che non c’è più, che propaga le disuguaglianze. Deve cambiare per non perdere capitale umano”. Francesco Billari, demografo e rettore dell’Università Bocconi di Milano, inquadra così la sfida dell’integrazione degli studenti stranieri “sulla quale si gioca il futuro del nostro Paese, non di un Paese altro”.

Cosa ci dicono i dati?

“Le coorti che vediamo adesso a scuola sono frutto dei cambiamenti demografici di sei anni fa: quindi da una parte del crollo della natalità, che era già cominciato, dall’altro dei flussi migratori. A livello nazionale quasi il 15% degli studenti è di origini straniere, con percentuali che aumentano nelle regioni economicamente più forti, Lombardia ed Emilia-Romagna in testa”.

Quali sono le prospettive?

“Dobbiamo sperare che questi studenti di prima, seconda e terza generazione restino in Italia. Già abbiamo pochi bambini, non possiamo rischiare di perdere talenti: dobbiamo investire di più sulla loro formazione”.

Ius scholae? Ius soli?

“Giusto aprire un sano dibattito sul diritto di cittadinanza. Ed è positivo legarlo alla scuola perché la rimette al centro in un Paese che spesso non le riconosce la giusta importanza. Rispetto allo ius soli – che in Italia non credo sia percorribile in tempi brevi – lo ius scholae è pragmatico, praticabile e enfatizza l’importanza della scuola. Che però deve cambiare”.

Come?

“Più tempo pieno e meno compiti a casa portano con sé un sistema maggiormente egualitario. I tre mesi di vacanze in estate accentuano i divari. Si deve lavorare più in classe: non tutte le famiglie hanno lo stesso tempo e gli stessi strumenti per seguire i ragazzi. Questo presuppone un maggior investimento sulla scuola”.

Preoccupano i ritardi negli apprendimenti?

“Sì. Proprio nelle regioni più “ricche”, come Lombardia ed Emilia Romagna, si stanno segnalando esiti scolastici al di sotto delle aspettative ed è connesso al tema delle seconde generazioni. Il gap linguistico c’è: chi ha origini straniere, ma è nato in Italia, ha comunque in media un anno di ritardo nella lingua italiana. Che diventano due anni per chi arriva dopo. Il sistema attuale enfatizza le disuguaglianze”.

Si parla di “tetti” del 30% di alunni stranieri per evitare le classi-ghetto. A Milano abbiamo il caso di una scuola senza bimbi con cittadinanza italiana. Sono praticabili le quote?

“Elementari e medie sono scuole di prossimità, bisognerebbe valutare caso per caso. Più che alle quote penso a esperimenti condotti all’estero che possono essere da stimolo: si portano i migliori insegnanti ed educatori nelle periferie. Nei contesti privilegiati sono un valore aggiunto, ma non sono decisivi quanto nei contesti fragili. Dovrebbero essere incentivati a farlo, premiati e meglio pagati”.

Come evitare il fenomeno del “white flight”, con la fuga degli italiani verso il centro?

“Portando i migliori insegnanti nei contesti in cui si decide il futuro del Paese, appunto. Ma anche con sperimentazioni didattiche. A Milano ci sono casi in cui con il metodo Montessori si è frenato il fenomeno. Anche l’edilizia scolastica ha il suo peso. Deve esserci la libertà di scelta, ma i finanziamenti pubblici devono concentrarsi lì”.

E alle superiori?

“Chi è considerato più bravo è portato a iscriversi al liceo, agli altri si preclude troppo presto l’università, indirizzando verso i professionali con la falsa leggenda del lavoro che li aspetta. Non sappiamo neppure se quelle professioni ci saranno tra 5 anni! E in pochi continuano gli studi. Meglio assicurare una solida formazione e rimandare la scelta di indirizzo (a 13 anni è troppo presto!) permettendo anche a chi ha un background migratorio di recuperare il gap di partenza. Dobbiamo garantire a tutti la possibilità di laurearsi”.