REDAZIONE MILANO

Su un muro il volto simbolo della Repubblica "Ma lei parlava pochissimo di quello scatto"

Anna Iberti ritratta in via Cima da Orticanoodles. La figlia Manuela: da anziana diceva “L’Italia è un po’ conciata... come me”

di Marianna Vazzana

Quel volto sorridente che sbuca sotto il giornale del 2 giugno 1946 è diventato il simbolo della Repubblica italiana, unito alla conquista delle donne che per la prima volta votavano e alla speranza per il futuro da costruire sulle macerie della guerra. Il viso delle milanese Anna Iberti, allora ventiquattrenne, ritratta sulla terrazza dell’Avanti! da Federico Patellani, è stato riprodotto centinaia di volte. Mai, però, era comparso dipinto su un muro. Ora lo è: protagonista dell’opera di street art di 200 metri quadrati realizzata in via Cima 39 dal collettivo artistico Orticanoodles, parte del progetto Or.Me (Ortica Memoria). Manuela Nasi, sessantanovenne, figlia di Anna e di Franco Nasi che fu una storica firma del Giorno, si dice "fiera e orgogliosa".

Ha visto l’opera?

"Sì, al momento solo in fotografia, e mi sono molto emozionata. Avrei voluto essere presente all’inaugurazione, ma per motivi di salute non mi è stato possibile. Mi riprometto però di andarla a vedere dal vivo".

Che cosa raccontava sua madre di quella foto?

"Molto poco. Era riservata, così come mio padre, tanto che per anni aleggiò il mistero su chi fosse quella ragazza immortalata. Noi “custodivamo” quello che era diventato un po’ il segreto di famiglia. Per noi intendo io e mia sorella Gabriella, più piccola di me. La mamma è mancata nel 1997 e non ha mai voluto far pubblicità su questo episodio. Però, quando vedeva la sua foto riprodotta, esclamava: “Certo che la Repubblica è un po’ conciata. Le aspettative e le speranze erano altre. D’altronde, è diventata come me”, alludendo al suo aspetto che la vita aveva cambiato. A scoprire il nome, e a risalire a noi, fu il giornalista Mario Tedeschini in occasione del settantesimo anniversario".

Qual è stata la prima sensazione, appena ha visto il murale?

"Di felicità. Io, nata a Milano, ho vissuto molti anni in Sardegna ed è come se avessi ritrovato oggi una parte della mia storia, le mie radici".

Di cosa si è occupata nella vita?

"Ho lavorato nel campo della scuola, iniziando a collaborare con le scuole popolari avendo come modello l’esperienza di don Lorenzo Milani: si organizzavano corsi per i lavoratori, per il conseguimento della licenza elementare e media. Il primo lavoro retribuito è stato all’interno dei corsi “150 ore”, conquista del Movimento operaio, in particolare dei metalmeccanici, che rivendicavano il diritto all’integrazione tra l’esperienza lavorativa e l’acquisizione di strumenti culturali. Poi mi sono trasferita ad Alghero, lavorando al Comune nell’ufficio Pubblica istruzione. Mi occupavo di diritto allo studio e servizi scolastici".

L’insegnamento più grande di sua madre?

"È una domanda difficile. Posso dire che la ammiravo molto, per come ha gestito la sua vita, che non è stata facile. Da giovane insegnava, prendeva il tram Gamba de legn per andare a Magenta. Poi ha lavorato alla segreteria dell’Avanti! In seguito si è sposata e si è dedicata alla casa e alle figlie, mantenendo tanti interessi: amava la musica classica ed era impegnata nel sociale. Tra lei e mio padre c’era stima reciproca".

Il volto della mamma è stato definito un simbolo di speranza per il futuro. Vale anche oggi?

"Mi piacerebbe poter offrire una visione romantica, ma di speranza non ne ho moltissima. Si diceva che l’esperienza Covid avrebbe reso migliori le persone e sensibilizzato sulla sostenibilità ambientale, ma non è stato così. E, ai piani alti, c’è poca attenzione ai problemi reali della gente".