
Suor Maria Beatrice e la priora suor Margherita nel “parlatorio“
Milano – Da quel monastero, rinato dalle macerie della guerra e oggi all’ombra di CityLife, vedono la città che cresce, che si alza, che si impoverisce, che implora aiuti e preghiere, che ha ancora il cuore in mano, nonostante la stanchezza. Nonostante tutto. Suor Margherita è la priora del monastero di Santa Teresa di Gesù Bambino e vive in via Marcantonio Colonna dal 1978, da quando aveva 21 anni. Con lei altre sette monache di clausura dell’ordine delle Carmelitane scalze.
Perché la clausura oggi? E perché nella frenetica Milano?
“Non è un paradosso. Prima di tutto è proprio nelle città che Santa Teresa ha voluto il monastero. Non è una scelta di esclusione dal mondo la nostra, siamo nel mondo, nel cuore della Chiesa. Ci siamo per tutti, preghiamo per il mondo. È una scelta di separazione da una mentalità più mondana. La preghiera ti obbliga a fermarti, a capire dove sei adesso, non solo per te. Qui riscopriamo il silenzio della città, alternandolo alla preghiera e al lavoro quotidiano che ciascuna di noi svolge. Pratichiamo la povertà, avendo cura della casa, e la carità, viviamo dei frutti del nostro orto”.
Che cresce a Milano?
“Tutti questi palazzi che hanno costruito intorno ci hanno tolto un po’ la luce, soffocano. Abbiamo visto la città mangiare sempre più terreno e ne ha risentito anche l’orto. Ma ce ne prendiamo cura ogni giorno e, quando possiamo, aiutiamo chi è in difficoltà. Un panino per chi ha bisogno non manca mai”.
La città è più povera, dal vostro punto di vista?
“Sì, e il Covid è stato uno spartiacque per tutti. Lo vediamo nella beneficenza che si fa al monastero e alla parrocchia, che c’è ancora ma non come un tempo. Si fa più fatica, si devono tenere bene i conti. Notiamo anche una povertà di relazioni: si parla di ragazzi fragili, ma a essere fragili sono anche le famiglie, che vanno supportate. Non c’è più molta pazienza nella società del tutto-subito, va ritrovato il tempo dell’ascolto”.
Chi si rivolge a voi?
“Chiunque si può rivolgere a noi: amici, parenti, conoscenti; vengono in parlatorio, ma soprattutto per telefono. Ci chiedono tanta preghiera. C’è una suora che si occupa di questo servizio: raccoglie le intenzioni che vengono poi condivise con la comunità prima di pregare insieme”.

Ci sono eccezioni alla clausura?
“Possiamo uscire per visite mediche e anche se i nostri genitori sono malati: prima non era possibile, adesso le cose son cambiate anche perché alcune di noi sono figlie uniche e se siamo qui è anche grazie a loro, che ci hanno permesso di vivere la nostra vocazione. Se hanno bisogno ci rendiamo presenti. Siamo uscite in occasione delle visite dei Pontefici. Non tutte però, il monastero non resta mai vuoto. E poi usciamo per andare a votare (anche se non seguendo passo a passo scelte e decisioni, cambi di partiti o altro, è più difficile farsi un’idea così chiara della politica)”.
E non solo da lì... Come vi tenete informate?
“Leggiamo l’Osservatore Romano, l’Avvenire, le Riviste Missionarie. Alla domenica, ascoltiamo l’Angelus del Papa. E ci confrontiamo. Poi ciascuna è libera di votare secondo il proprio sentire. L’esercizio della democrazia è importante, anche al nostro interno. Alla domenica sera, se ci sono stati avvenimenti particolari, ascoltiamo il Tg”.

Litigate anche voi?
“Certo, come in tutte le famiglie. Siamo umane, se perdiamo noi l’umanità è finita (sorride). Ci si confronta, a volte ci si scontra. Ma abbiamo anche in cuore la Parola di Dio: ”Non tramonti il sole sopra la vostra ira” e così ci chiediamo perdono a vicenda. Abbiamo anche il “Capitolo”, una riunione nella quale parliamo e poi votiamo. Le decisioni vengono prese sempre in modo partecipato”.
Qual è il vostro rapporto con la tecnologia?
“L’accesso a internet deve essere “cum grano salis”, va fatto con discernimento e moderazione. Nel nostro caso lo usiamo per esempio per incontrare online i monasteri della federazione o anche per corsi di formazione. Non siamo nativi digitali, ci aiutano le più giovani”.

L’arcivescovo Mario Delpini ha concesso una deroga ad hoc per partecipare al Giubileo.
“Sì, ci ha scritto una lettera, invitandoci. Hanno già partecipato alla giornata del Giubileo della vita consacrata quattro nostre sorelle. È stata un’occasione importante, di preghiera e di festa”.
Cosa manca secondo voi oggi a Milano? Da dove ripartire?
“Dal Giubileo della Speranza: ci dà un’indicazione chiara dello sforzo che deve vederci tutti coinvolti oggi. Milano è stanca, lo ha detto anche l’arcivescovo nel suo Discorso alla Città e lo vediamo anche noi. Ed è proprio la speranza che spesso manca, dobbiamo fare pratica di speranza. Dal nostro punto di vista, la storia è fatta dagli uomini ma guidata da Dio. Ecco, dobbiamo andare su un altro piano. Le difficoltà son tante, e sempre di più, ma ripartiamo da uno sguardo diverso. Dalla speranza”.