Milano, 11 maggio 2019 - "Sono tranquillo, quello che dovevo chiarire l’ho chiarito e non voglio dire altro....». L’imprenditore di Gallarate Giuseppe Filoni, «uomo di Caianiello al 100%», è stato uno dei primi a rompere il silenzio, rilasciando ai pm della Dda di Milano «informazioni utili» per l’inchiesta che ha scoperchiato un presunto giro di mazzette, appalti pilotati, infiltrazioni della ’ndrangheta e un sistema di potere «feudale» tra Varese e Milano.
Si è presentato a Palazzo di giustizia accompagnato dal suo difensore, l’avvocato Lara Paladino, e ha scelto di collaborare con i magistrati. È indagato per abuso d’ufficio, per una serie di consulenze affidate dalla “Tutela ambientale dei torrenti Arno, Rile e Tenore”, Spa guidata da Filoni che conta tra i soci Comuni del Varesotto e dell’Altomilanese, attiva nel ciclo dell’acqua, uno dei business della “cricca”. Sul sito internet della Spa, nella sezione “amministrazione trasparente” compaiono diverse consulenze affidate nel 2017 all’avvocato Stefano Besani, uno degli indagati, tra vari incarichi sempre con affidamenti diretti, senza gara. Una consulenza è stato assegnata al legale, dietro un compenso di 40.000 euro, per gestire la fase giudiziale di un «recupero credito nei confronti di Agesp Spa di Busto Arsizio», altra società che sarebbe stata “infiltrata” da uomini di Caianiello, detto il “mullah”. Un’altra consulenza è per una «gestione del debito nei confronti della società Aerzen Spa»: 30.000 euro di compenso. E la “trasparenza” online si ferma al 2017, anno proficuo per il professionista che avrebbe incamerato affidamenti diretti per 112.000 euro.
Uno spaccato del sistema, emerso dalle indagini, per remunerare professionisti che poi avrebbero consegnato la “decima”, parte del compenso, al “burattinaio” Nino Caianiello. E Filoni, ex consigliere comunale a Gallarate e a capo di una cooperativa di pulizie, secondo le dichiarazioni ai pm dell’ex sindaco di Lonate Pozzolo Danilo Rivolta otteneva appalti pubblici «per il tramite di Caianiello» che avrebbe «compartecipato al profitto».
Dalle carte emergono anche rapporti d’affari tra l’imprenditore del Varesotto e Daniele D’Alfonso, il titolare della Ecol-Service di Corsico che avrebbe tenuto a libro paga l’ex consigliere comunale milanese di Fi Pietro Tatarella, strumento per le mire del clan ’ndranghetista dei Molluso sugli appalti pubblici. Filoni non è l’unico ad aver collaborato con i pm: altri due imprenditori hanno scelto di fornire «dettagli utili» all’inchiesta coordinata dal capo della Dda di Milano Alessandra Dolci e dai pm Silvia Bonardi, Adriano Scudieri e Luigi Furno che ha portato finora a 43 misure cautelari e a un terremoto in Forza Italia. E sono decine le persone convocate in questi giorni negli uffici al quinto piano della Procura, tra indagati a piede libero e semplici testimoni. Ieri è stato ascoltato anche il sindaco di Gallarate, Andrea Cassani, che non è indagato: Caianiello aveva piazzato nella Giunta un suo uomo, l’assessore all’Urbanistica Alessandro Petrone, arrestato dalla Guardia di finanza.
Poi è comparso in Procura, nel rivolo che vede indagato il governatore Attilio Fontana per abuso d’ufficio, il dirigente regionale Antonello Turturiello che firmò il decreto con cui venne affidato a Luca Marsico, ex socio di studio di Fontana, un incarico al Nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici. Fontana, convocato lunedì, sarebbe intenzionato a rispondere ai pm.
Nei prossimi giorni potrebbe essere ascoltata anche l’europarlamentare Lara Comi (non indagata), per fare chiarezza su alcuni consulenze che una società a lei riconducibile avrebbe ottenuto da Afol Metropolitana. Mentre al quinto piano del Palazzo di giustizia sfilavano imprenditori, politici e amministratori, al settimo sono proseguiti gli interrogatori di garanzia davanti al gip Raffaella Mascarino degli indagati finiti agli arresti domiciliari. Fabio Altitonante, consigliere lombardo di Fi, si è difeso sostenendo che un presunto finanziamento illecito da 25mila euro era «in realtà un versamento regolare e dichiarato, ma non per me, per la campagna elettorale di Pietro Tatarella», altro “azzurro” che è ora in carcere e si è avvalso della facoltà di non rispondere. «Non ho preso soldi né come corruzione, né come finanziamento illecito», ha detto Altitonante, difeso dall’avvocato Luigi Giuliano. Il politico ha cercato di spiegare, davanti al gip, che quei 25mila euro, versati dall’imprenditore Daniele D’Alfonso sarebbero stati dichiarati nella campagna per le Politiche 2018. Con quei soldi, stando alla versione di Altitonante, Tatarella, suo «mandatario elettorale», avrebbe organizzato uno spettacolo comico.