Milano – Una giornata bombardata non da volumi furibondi e ritmi implacabili, ma da pioggia e afa che non hanno scardinato l’emozione e l’entusiasmo per la vigilia di quello che è stato già battezzato a rete unificate come "il concerto dell’anno". È lo show di Taylor Swift che oggi e domani si esibirà a San Siro per l’unica tappa italiana del mastodontico Eras Tour, portando 130mila spettatori allo stadio (e generando un indotto da 180 milioni di euro, secondo Confcommercio). Le swifties ieri hanno ingannato l’attesa facendo collane e bracciali con perline colorate: i famosi braccialetti dell’amicizia, il loro segno di riconoscimento. Non pervenuti ettolitri di birre, scorrettissimi sorsi di caffè, tirate di sigaretta, baci che schioccano.
Lorella Fiorin, 56enne di Rovigo, quando lo ha scoperto ha tirato un sospiro di sollievo. La donna ha accompagnato la figlia Matilde, 23 anni, al suo primo live al Meazza, con la testa piena di preoccupazioni. "Non sono venuta a Milano perché mi piacciono particolarmente le sue canzoni. Il fatto è che tutte quelle brutte notizie sulla metropoli come Gotham City mi avevano messo addosso un’ansia... Ho scoperto però che qui l’ambiente è stra-tranquillo. Mi vergogno persino a fumare una sigaretta perché sono l’unica a farlo nel raggio di un chilometro. Forse sono stata troppo apprensiva, dopo tutto ai miei tempi nessuno si sarebbe sognato di portare dietro la madre a un concerto dei Duran Duran…", dice il genitore che, però, è in folta compagnia. Il numero di figli ventenni, a spasso coi “matusa“, per usare un gergo vetero-sessantottino e certamente inattuale, che si incrociano nei dintorni dello stadio è impressionante.
Non è il caso di Ivana Palermo, 23 anni da Roma, che ha preferito portare con sé l’amica coetanea Rebecca Asco per piantare assieme la tenda nel parcheggio trasformato in un punto di approdo per i fan più esaltati: chi arriva prima dovrebbe guadagnare i primi posti nei parterre sul prato. Il condizionale è d’obbligo perché non c’è nulla di ufficiale, tutto si basa su un regolamento non scritto fra i seguaci della cantante americana "che a volte è rispettato e a volte no, quando si aprono i cancelli" ammette Ivana. Chi si aspettava a ridosso di San Siro un accampamento gigantesco à la Woodstock è rimasto deluso: ieri a mezzogiorno le tende piantate erano meno di 25. Niente polvere e bagni nel fango: il duro (e bollente) asfalto ha evitato l’effetto Glastonbury festival. Nel gioco delle differenze rispetto ad altri raduni di massa, soprattutto del secolo scorso, saltano altri particolari all’occhio. "Beviamo tutti acqua, al massimo la ’aggiustiamo’ con un po’ di Polase", dice Ivana.
Niente bottiglie di birra abbandonate, e neppure un pacchetto di sigarette nei dintorni. "Fumare tabacco non ci interessa e neppure stordirci con l’alcol. I ragazzi? Qualcuno ce n’è, ma a nessuno viene in mente di provarci…". "Forse tutta questa serietà non è un male, almeno il concerto lo vediamo da lucidi e poi ce lo ricordiamo. Dopotutto Taylor Swift è la regina del pop. Trasgredire, stupire, provocare appartiene più alle culture del rock e del rap", afferma Marco Cristallo, 19 anni, anche lui dalla Capitale. Ha speso 250 euro per il biglietto dell’area Vip "ma solo perché ho scelto il pacchetto We Never Go Out of Style che è il più economico di tutti, rimanendo in piedi sul prato".
"Il salutismo dei fan? Per le donne è meglio, significa meno pericoli" argomenta Marie Wright, 35 anni, con l’amica coetanea Stephanie Macristopolas, da Montreal. Per la cronaca, hanno pagato 400 euro a testa per il biglietto Vip. "In America era impossibile trovare un ticket sotto i 3mila euro. Non è colpa della cupidigia di Taylor Swift, ma della piaga del secondary ticketing. Venendo a Milano, abbiamo fatto un affare…". È la stessa convinzione di Romina Bianchi, 30enne milanese. "Una t-shirt ufficiale qui costa 45 euro. Ma in Inghilterra serve l’equivalente di 65 euro" argomenta. Anche il fidanzato Matteo Bonfà, 29 anni, ha speso la stessa cifra per una maglietta. "Però ti regalano anche una borsa da donna" aggiunge. Cosa se ne faccia un ragazzo, però, rimane un po’ un mistero.