DIEGO VINCENTI
Cronaca

Chiude il Teatro i (per pochi euro): "Non è più una città per noi piccoli"

Lo spazio indipendente, nato 18 anni fa dall’esperienza del Leoncavallo, chiude tra due mesi: ucciso dalla crisi

Laura Marinoni, Renzo Martinelli e Federica Fracassi davanti al teatro di via Ferrari

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Due mesi di programmazione. Neanche. E poi Teatro i chiuderà il sipario. Per sempre. L’hanno annunciato ieri i direttori artistici Renzo Martinelli, Federica Fracassi e Francesca Garolla. Mettendo così fine a un percorso lungo diciotto anni. È uno dei rari (rarissimi) spazi milanesi davvero deputati alla ricerca, al nuovo, alla parola. Uno stanzone improbabile che si riempie ogni sera di pensiero. Anche spigoloso. Ma da fine dicembre non ci sarà più nulla. Questioni economiche. E di un sistema impermeabile alle richieste d’aiuto, che continua a scegliere i numeri sacrificando l’orizzonte indipendente.

Renzo Martinelli, che margini ci sono per una soluzione?

"Al momento nessuno. E lo dico senza strategia, probabilmente non si è capita la gravità del momento, non saprei. Certo il discorso non vale solo per noi".

Cosa intendi?

"Abbiamo utilizzato i fondi pubblici al meglio. Credo che Teatro i sia un luogo d’eccellenza, nonostante le dimensioni ridotte. Ma oggi viviamo in un contesto di pensiero unico, di fronte a un’emergenza in cui i piccoli palcoscenici sono destinati a chiudere".

Cosa è successo nello specifico?

"I costi si sono alzati enormemente, ci è impossibile lavorare. All’interno di una situazione già minata nel profondo, dove si trascinavano progetti mai sviluppati, come il nostro allargamento verso i magazzini a fianco. Il Comune ha sempre confermato il suo finanziamento, il problema è la proporzione di quel supporto a fronte dei costi più che raddoppiati. E allora ti accorgi che da una parte non ci sono più dieci mila euro, dall’altra venti, le maestranze sono da pagare, le attività devono correre per stare nei parametri ministeriali e tu non sai più come mettere insieme le cose. Ogni dettaglio diventa un problema enorme. E a differenza di altri, anche solo dieci mila euro per noi sono questione di vita o di morte".

Da quanto proseguiva la crisi? "Da un po’. Abbiamo avuto molti buoni anni e nel dialogo con la città ci sono stati degli interlocutori con cui è stato bellissimo collaborare, come gli assessori comunali Filippo Del Corno o Gabriele Rabaiotti. Ma già a gennaio la situazione si è complicata. Sono stato io a spingere per proseguire, forse sbagliando. Ma fino ad oggi ho sempre avuto fiducia in Milano, nella sua intellighenzia. Si vede che non sono un buon direttore, non mi è facile cambiare d’abito".

Cosa perde Milano con questa chiusura?

"Il sistema in città è un macrocefalo, con questa enorme testa composta dai teatri più prestigiosi, mentre sotto le gambette sono strette strette. Noi abbiamo cercato di essere un anello della spina dorsale, mettendo in comunicazione le parti, senza essere antagonisti al sistema, dentro le norme. Un passaggio voluto all’epoca dall’amministrazione che ci aveva accompagnato fuori dal Leoncavallo dove curavamo le attività culturali, per andare ad aprire Teatro i. Non abbiamo mai voluto essere un nuovo palcoscenico di Milano. Ma un luogo dove diversificare la proposta e il pensiero, una sorta di centro per la drammaturgia contemporanea. Tutto è rientrato in questo spirito, dal lavoro sulla parola alla ricerca dei giovani artisti, cercando di intercettare e di dare tempo a quelli meno furbi, che non avanzano per relazione".

Com’è ora lavorare?

"Difficilissimo. Ma il nostro rimane il mestiere più bello del mondo".

Il 20 ottobre debutta lo spettacolo «Esequie solenni» di Antonio Tarantino, un titolo beffardo...

"Saranno protagoniste Elena Arvigo ed Emanuela Villagrossi, con i suoni curati da Gianluca Agostini, luci di Andrea Ceriani, Lapilou ai costumi e Diego Zanoni ad assistermi in regia. Per noi è un debutto importantissimo, su un testo che già all’epoca avrei dovuto portare in scena. Oggi ci torno con amore, supportato da alcune chiacchiere che ebbi con Antonio. È un lavoro sulla verità e gli spostamenti di senso. Stiamo provando sul concetto di accidente musicale, l’alternativa che emerge in un sistema di parti fisse".

Insomma, come Teatro i.

"Già, proprio così".