ANNA MANGIAROTTI
Cronaca

Testori, periferia del cuore: "Creatività e cooperazione contro la città per pochi"

Giuseppe Frangi, nipote del grande intellettuale e custode della casa museo "La cultura dev’essere fattore produttivo, non passivo. L’esempio? Base".

Giuseppe Frangi, nipote del grande intellettuale e custode della casa museo "La cultura dev’essere fattore produttivo, non passivo. L’esempio? Base".

Giuseppe Frangi, nipote del grande intellettuale e custode della casa museo "La cultura dev’essere fattore produttivo, non passivo. L’esempio? Base".

Ci sono i milanesi di sangue e i milanesi di domicilio. La differenza si coglie a Novate Milanese, nella sobria casa natale di Giovanni Testori (che la differenza precisò). Diventata hub culturale: Casa Testori. Grazie all’impegno profuso dal nipote Giuseppe Frangi, il più vicino allo scrittore e pittore e uomo di teatro. L’edificio si affaccia sui binari delle Ferrovie Nord, accanto alla Stazione di Novate.

Suo zio, che Milano tanto ha amato e odiato e nei suoi sempre vivi capolavori letterari indagato, si spostava in treno? "Lo ha fatto a lungo, ma negli ultimi tempi (ricordo che è scomparso nel 1993), si faceva accompagnare in auto. E in auto anch’io raggiungo Bovisa, quindi parcheggio e salto sul passante".

Abitando a Novate, la cui aggettivazione è chiara, lei stesso può dirsi milanese? "La multipla Milano tante piccole entità ha inglobato. Ma il primo punto in cui smette di essere Milano è proprio Novate, che dalla cesura di verde riceve una certa autonomia".

Sul retro di Casa Testori, il giardino è aperto verso la sede del Testori Group. Fabbrica sempre attiva. "Continua a produrre, da inizio Novecento, tessuti per la filtrazione di gas e liquidi al servizio di industria e ambiente. Ora, la proprietà è di un cugino. Ma anche l’adiacente Casa Testori, in origine abitazione di piccoli industriali lombardi, è concepita come piccola impresa: la cultura, qui, la riteniamo fattore non passivo, ma produttivo".

La famiglia che l’abitò è ritratta su una parete della sala riunioni. Il capostipite? "Personaggio leggendario, nonno Edoardo, padre di Giovanni Testori, di mia madre Lucia e di altri quattro figli. Convinto che dall’impresa il beneficio sociale dovesse ricadere sulla comunità. Una casa per le vedove anche aveva costruito, perché facessero rete tra di loro".

Non personaggi ma luoghi segnano invece il passaggio dello scalone verso il primo piano. Vuole trattenere qui la Milano che Testori già sentiva scomparire? "Ridisegnata da Jacopo Rosati, lungo il grande giro scala, la via Mac Mahon è la strada-mondo che portava dentro la periferia più amata da Testori, Villapizzone. Due chilometri di arteria fiancheggianti il quartiere Ghisolfa: enclave, questa, anche libertaria, culla dell’anarchismo milanese. Vi abitava, in una delle case venute su tra il fondo del Mac Mahon e la Bovisa, “niente più d’un piano, tre locali - descrive Testori - e qualche metro d’orto giardino sul davanti“, la mitica Gilda".

Poi, consumismo e gentrificazione. "Ma la via non ha perso del tutto la fisionomia di frontiera. Vi si affaccia il Teatro Out Off: “fuori, anzi più fuori“ dal facile consenso, esclusivamente dalla parte degli artisti, per capire e interpretare il presente. E il tour contemporaneo in Mac Mahon può comprendere pure due scuole, il Liceo Bottoni e la Rinnovata Pizzigoni, e due parrocchie con i relativi oratori".

A proposito, stenta a sopravvivere la Milano cattolica? "Disastroso, il suo declino: il Duomo, macchina da soldi; sbriciolata la capacità della Chiesa, a due passi da Palazzo Marino, d’incidere sulle scelte della città. Lo dico da cattolico, senza voler recriminare".

Provvidenzialmente, a Casa Testori sono stati riunificati gli archivi. E oltre alle memorie si custodiscono “I segreti di Milano“, ovvero? "Tra 1958 e 1961, Testori aveva pubblicato presso Feltrinelli, nella collana con questo titolo, la commedia umana della "sua" Milano: lo spicchio Nord Ovest orientato verso Novate, tipologia ben definita, antropologica e urbana, trasformandola in qualcosa di universale".

Frangi, la “sua“ Milano oggi qual è? "La Milano dove si costruiscono meccanismi di coesione, cooperazione, coworking. La Milano di Base, nelle ex Acciaierie Ansaldo: moderna fabbrica, industria di incubazione, produzione e fruizione della creatività espressa dai centinaia che vi affittano la scrivania facendo anche rete sociale, in un circolo virtuoso".

La Milano che Testori amava era quella dove il grande Albini firmava case gioiello a Quarto Oggiaro. Le piace quella disegnata oggi da archistar? "Rispetto a Parigi, dove i grattacieli son tirati su a casaccio, qui la capacità di disegnare è altra cosa, però ormai riservata a pochi".

L’Apocalisse a Milano - la Cattedrale scoperchiata, incendio a San Vittore dove un ragazzo muore di droga, libertà tutte finite - il nostro moderno Giovanni l’aveva immaginata ne ‘Gli angeli dello sterminio’. Sperando però nella rigenerazione. Positivo anche il nostro finale? "Dell’antica Milano solidale, certo, resta la Fondazione Cariplo: capitale enorme, esclusivo di questa città, alimentatore di welfare moderno, non il solito regalino della politica".