Milano – “Gli do due cannonate addosso… il cannone ho preso, vado da loro e gli sparo in pancia a questo qua…". C’erano armi da fuoco sempre a disposizione, da usare anche per regolamenti di conti.
In questo caso – era il 30 aprile 2022 – l’ira si era scatenata contro due albanesi, da colpire in una discoteca. Quella sera, la violenza del "gruppo di fuoco" alle dipendenze di Nazzareno Calajò detto ‘Nazza’ o ‘lo zio’, 54 anni, ritenuto dagli inquirenti al vertice delle piazze di spaccio della Barona, non si concretizzò. Ma lo ‘zio’ e altri sette sono finiti in carcere con la maxi operazione dello scorso 26 aprile. Ora, seconda tranche: ieri i carabinieri del Ros hanno eseguito una nuova ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice Massimo Baraldo su richiesta dei pm della Dda Francesco De Tommasi e Gianluca Prisco nei confronti di 14 persone; per 12 è stato disposto il carcere, per una gli arresti domiciliari e per un’altra l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Dovranno rispondere a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, traffico e cessione di stupefacenti, detenzione e porto abusivo di arma da fuoco. Tra loro, i due che avrebbero reso disponibile la pistola quella sera di aprile: Matteo Ardolino, che avrebbe consegnato l’arma, e Giorgio Cavioni, che l’avrebbe custodita.
Tra l’altro, nell’informativa alla base dell’ordinanza, Ardolino è indicato come "soggetto vicino a Vittorio Boiocchi, capo della Curva nord dell’Inter, assassinato a colpi di pistola in un agguato nell’ottobre del 2022". Emerge anche "l’interesse da parte del gruppo ad entrare nella gestione dei locali notturni e delle curve degli ultras". In un’intercettazione, Luca Calajò, nipote di Nazzareno, confida a un altro: "la pigliamo noi… io, mio zio i miei cugini", con riferimento alla curva del Milan. E l’altro rispondeva: "Io non ho problemi, mi dai un ferro in mano e lo faccio fra". Tra gli arrestati lo stesso Luca, ritenuto dai Ros il capo dell’organizzazione che era composta anche da donne, soprannominate ‘La Bionda nera’ e ‘Pocahontas’.
L’associazione, stando sempre alle indagini, alimentava un canale di smercio in Sardegna, in particolare nella provincia di Olbia, dove la droga arrivava a bordo di camion: i carabinieri hanno ricostruito sei cessioni, ciascuna di cinque chili di cocaina, per un controvalore stimato in circa un milione di euro. Per evitare le intercettazioni, i sodali parlavano con tecnologie di comunicazione criptata o con il passaparola.