Alla fine li ha denunciati. Bruna, la donna transgender di origini brasiliane che il 24 maggio è stata colpita con calci e manganellate da quattro agenti della polizia locale di Milano in zona Bocconi ha sporto denuncia formale contro di loro. I reati ipotizzati sono tortura aggravata dalla discriminazione razziare, lesioni personali aggravate dall’abuso della funzione pubblica nonché minacce aggravate.
A presentare la denuncia alla Procura milanese è stata l’avvocato della donna, Debora Piazza. Allegato al fascicolo c’era anche il referto medico della visita effettuata alla clinica Mangiagalli nei giorni successivi all’episodio. I medici dell’ospedale, in quell’occasione, le hanno riscontrato ferite con una prognosi di 5 giorni.
La legale ha spiegato che l’accusa di tortura è motivata dal fatto che Bruna sarebbe stata ammanettata dagli agenti e poi chiusa dentro l’auto di servizio per 20 minuti con i finestrini chiusi. Quando è stata portata in ospedale, l’avvocata ha detto che la sua assistita aveva “una brutta ferita alla testa col sangue raggrumato, compatibile con una manganellata, è sconvolta, triste, depressa, piange e non riesce proprio a rivedere il video che ha ripreso quella scena”.
In un’intervista al Giorno, la donna ha detto di non aver fatto nulla “che giustificasse tutte quelle botte, ovunque. Ero a terra non potevo difendermi”. “Ero agitata sì, abito in via Padova da 20 anni, ho avuto una vita difficile. Oggi è il mio compleanno. Bastava che mi ammanettassero. Mi hanno picchiata mentre io non avevo fatto nulla”.