«Ero un marocchino mangia cous cous / Ora un marocchino coi milioni di views" rappa Baby Gang in “Treni”, ma tra il “cous cous” e le “views” c’è una dolente teoria di case d’accoglienza, fogli di via, istituti per minori devianti, carcere, forse con un’unica luce. Quella accesa dal sacerdote che in comunità a Boario Terme lo spinse a scrivere la sua prima canzone. Una fiamma tenue vista la notte d’alcol e di follia che un anno e mezzo fa in via di Tocqueville, a Milano, è costata a lui e al compagno di (dis)avventure Simba La Rue rispettivamente 5 anni e 2 mesi e 6 anni e 4 mesi di reclusione per aver assalito, rapinato e gambizzato due senegalesi. Prima reazione dell’autore di “Treni”, una storia su Instagram con tanto di dito medio per rendere chiara come la pensa: "Siamo cresciuti con l’ingiustizia, ora ci facciamo due risate".
Sorpresa, quindi, davanti ad un percorso di reinserimento che passi per il Forum di Assago, dove il rapper lecchese di origini marocchine, all’anagrafe Zaccaria Mouhib, 22 anni, è in scena il 6 maggio con un concerto organizzato dall’agenzia che si occupa pure di Gianni Morandi e dei Beach Party di Jovanotti. Solo l’inizio, visti gli altri due appuntamenti al Palaprometeo di Ancona e al Palaolimpico di Torino appena aggiunti in calendario. Reazione del pubblico tiepida, ma di tempo davanti ce n’è. Dal canto suo, Simba La Rue (vero nome Mohamed Lamine Saida, classe 1999) si prepara al debutto discografico, previsto per gennaio. Violenti per rabbia, per gioco o per noia, i trapper che sparano sono business. E i numeri parlano chiaro, se è vero che Giorgia Meloni su Instagram arriva a 2,1 milioni di follower mentre Baby Gang a 2,2 milioni.
A tirare il sasso nello stagno (melmoso) degli interessi commerciali in cui naviga un certo mondo in libertà provvisoria è stato il sottosegretario alla Cultura, Gianmarco Mazzi, chiedendosi se non ci siano responsabilità delle major discografiche riguardo ai testi delle canzoni rap e al loro impatto sulla società: "Non sopporto che si faccia business su queste cose: la tolleranza in merito dovrebbe finire". Quel business in cui rientra pure l’universo del live. Uno sguardo obliquo su questo mondo alla fine del mondo, da cui emergono pure altri artisti finiti in un modo o nell’altro nell’occhio del ciclone come Baby Touché, Samy Free o Neima Ezza, lo lancia Paola Zukar, la signora del rap italiano, manager di uno stuolo di grandi che va da Fabri Fibra a Marracash a Madame.
"La trap è molto seguita per due motivi: il primo è la noia della musica italiana che con i suoi testi d’amore sempre uguali non riesce a rinnovarsi. Il secondo è che la trap è la colonna sonora di Instagram, è adatta a fare da sfondo musicale alle Stories" spiega. "È un genere che non richiede troppe capacità tecnico artistiche. Però… è anche una fotografia del disagio contemporaneo. Usa parole vuote che servono a sottolineare il vuoto, la mancanza di tempo, l’estrema brevità e superficialità del mondo in cui queste stesse canzoni vengono ascoltate".
Nonostante altri momenti di forte imbarazzo per la categoria come l’arresto ad ottobre di Andrea Arrigoni, in arte Shiva, 24 anni, per tentato omicidio, porto abusivo di arma da fuoco ed esplosioni pericolose a seguito di una sparatoria avvenuta a Settimo Milanese davanti alla sede della sua etichetta discografica, la parola d’ordine nel mondo del rap resta "non giudicare". Un rifiuto del giudizio figlio del bisogno di non prendere le distanze da comportamenti sbagliati che rischierebbero di mettere in difficoltà pure la propria narrazione. Per rendersene conto basta ascoltare Ghali, in gara a Sanremo dopo il difficoltoso ritorno dell’album “Pizza e kebab”, prontissimo ad assolvere la categoria perché quella delle canzoni è solo violenza pantografata e perché, in fondo, nessuno ha mai ucciso per averlo visto fare in un film.