Notte tra mercoledì e giovedì. L.Y., quarantanovenne cinese, sta tornando a casa. All’improvviso, nel suo racconto messo a verbale la sera dopo nella caserma della stazione Duomo, gli si para davanti un uomo, che un’indiscrezione non confermata descrive come nordafricano: lo sconosciuto gli punta contro un coltello e gli intima di consegnare 20mila euro. Giovedì mattina si ripete la stessa scena: stavolta nel mirino finisce la moglie connazionale, Z.H. di 48 anni, che viene avvicinata e minacciata a due passi dallo showroom del figlio in via Cantoni 3, a due passi dalla stazione ferroviaria Certosa.
Lo stesso showroom che alle 23 dello stesso giorno andrà a fuoco, trasformandosi in una trappola per tre ragazzi che probabilmente avrebbero passato la notte tra i mobili da arredo in esposizione al piano terra: le fiamme divorano solo la facciata dello stabile e i cinque-sei metri di pavimento più vicini all’ingresso, ma il fumo e le esalazioni di gas tossici si riveleranno comunque letali per il ventiquattrenne studente di design Pan An e per i fratelli (e cugini del titolare ventiseienne L.J.) Liu Yinjie e Dong Yindan, entrambi nati nella vicentina Arzignano, lui diciassettenne (sarebbe diventato maggiorenne il 25 ottobre) e lei diciottenne. Il loro tentativo di fuga, illuminato dalla torcia di un cellulare, andrà a infrangersi contro un muro senza uscita di sicurezza.
La tentata estorsione denunciata poco prima ai militari e il drammatico rogo nello stabile di periferia. Due episodi troppo ravvicinati per non far pensare a una connessione. Un legame troppo sospetto nel tempo e nello spazio per derubricarlo a coincidenza. È stata proprio quella querela a spingere sin da subito gli specialisti del Nucleo investigativo del Comando provinciale di via Moscova, guidati dal colonnello Antonio Coppola e dal tenente colonnello Fabio Rufino, a scandagliare la possibile pista dolosa. Tradotto: qualcuno ha dato fuoco di proposito allo showroom? Un interrogativo che se ne porta altri con sé: la persona che avrebbe appiccato il fuoco sapeva che dentro c’erano i tre ragazzi? Le minacce per ottenere soldi hanno colpito a caso o molto più verosimilmente sono state indirizzate in maniera mirata verso la famiglia proprietaria dello spazio espositivo? C’è qualcos’altro dietro (un debito, magari) quella richiesta di denaro? Perché quell’uomo ha preso di mira proprio i genitori di L.J.? Il signor L.Y. ha raccontato tutto o ha omesso qualche dettaglio in grado di offrire un’altra chiave di lettura alla storia?
Oltre allo showroom di via Cantoni 3 entrato in attività a fine maggio, stando a quanto emerge, il giovane imprenditore detiene anche il 30% di un ristorante in zona Cenisio (di cui è stato amministratore unico dal 18 maggio 2023 al 5 aprile 2024) e il 100% di un altro ristorante in provincia di Udine (di cui è socio unico dall’8 novembre 2023). La svolta alle indagini coordinate dal procuratore capo Marcello Viola e dal pm Luigi Luzi potrebbe arrivare dall’analisi dei filmati registrati da alcune telecamere: nei minuti immediatamente precedenti allo scoppio del rogo, sarebbero state riprese più persone.
Detto questo, urge una precisazione non proprio irrilevante: al momento gli esperti del Nucleo investigativo antincendi dei vigili del fuoco non hanno sciolto la riserva sull’origine delle fiamme, anche perché non sono stati ancora ritrovati segni evidenti di accelerante o resti di materiale infiammabile o di contenitori utilizzati per trasportarlo. Il primo sopralluogo, andato avanti fino a metà pomeriggio di ieri, non è bastato a restituire certezze, com’era prevedibile: si procederà per gradi, scavando pian piano tra le macerie fino ad arrivare al pavimento; se qualche traccia di mano esterna è rimasta, i sofisticati sistemi che i pompieri adoperano per scandagliare la scena di un rogo dovrebbero intercettarla. Nel frattempo, però, l’inchiesta va avanti. E l’impressione è che abbia imboccato con decisione una pista ben precisa: quella dolosa.