di Barbara Calderola
Dopo il Tar, anche il Consiglio di Stato: "La casa della Legalità è abusiva". I giudici danno torto al Comune e ragione alla famiglia di origini sinti sgomberata da via Brasca, a Trezzo, il 28 marzo 2018, "senza preavviso, con i carabinieri in tenuta anti-sommossa". "Operazione illegittima", secondo i magistrati amministrativi, "abitazione e terreno devono essere restituiti ai titolari". Tre anni di carte bollate si chiudono con la conferma del diritto di padre, madre e tre figli piccoli, di cui uno con un handicap grave, a tornare nelle villette trasformate subito dopo dall’amministrazione nell’università della sicurezza, "illegittima secondo la sentenza – dice Francesco Lilli dello Studio Lfa di Milano, avvocato dei Reinard –: è il Municipio ad avere occupato, senza averne diritto, una proprietà privata".
Quasi un contrappasso per la giunta leghista che ha affidato la struttura per 10 anni in comodato d’uso gratuito a Foxpol, l’associazione di polizie locali che fa prevenzione di reati.
"Ma il difetto stava nel manico – aggiunge il difensore – e ora muri e terra devono tornare alla famiglia. Il primo tempo della partita si è chiuso con una vittoria, ora si aprono diversi scenari. Tutti i guai subiti dovranno essere ristorati".
La prima sentenza, stesso impianto, stesso esito della pronuncia d’Appello, era stata contestata dall’amministrazione, che "per la seconda volta soccombe in giudizio", dice Lilli.
Ma il Municipio non si arrende. "Non è una persecuzione nei confronti di nessuno, ma la volontà di ripristinare le regole in quei luoghi – dice il vicesindaco Danilo Villa, primo cittadino all’epoca dei fatti –. Siamo sorpresi da una pronuncia che ha scelto un orientamento più di carattere formale che sostanziale: quegli immobili rimangono illegali. Alla riconsegna, alla quale daremo corso il 7 maggio rispettando l’ordine del giudice, seguirà un nuovo provvedimento di demolizione. Siamo nel perimetro del Parco Adda Nord, quelle case erano e rimangono non condonabili. Qui l’etnia non c’entra".
Il caso ruota attorno alla sanatoria per la quale gli sgomberati avevano versato i relativi oneri "come provato, documenti alla mano", ricorda l’avvocato.
I fatti risalgono al 2004, governo Berlusconi, giunta Milanesi. Dopo 14 anni di silenzio i Reinard erano convinti di essere nel giusto.
"Mai nessuno ha contestato nulla ai miei assistiti di quell’operazione – aggiunge il difensore –. Adesso anche il Consiglio di Stato ha stabilito che avevano ragione a esserne convinti e ora devono essere riabilitati. Hanno sempre lavorato e pagato le tasse, partecipavano alla vita della città: sono stati messi alla gogna senza motivo. Mobili, masserizie, oggetti, che sono la trama della vita di ogni giorno sulla quale ciascuno di noi scrive la propria storia, sono andati distrutti. Sono stati scacciati in poche ore durante le quali hanno perso tutto quello che avevano. Per i piccoli essere strappati alla propria vita in quel modo è stato un trauma. È il danno più grave, ma poi ci sono quelli economici e morali. Dalla ricerca di un’altra sistemazione alle parole usate per indicarli come dei poco di buono".