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Trivulzio, la rabbia dei parenti: "Un bagno ogni 15 giorni"

La denuncia delle famiglie a Palazzo Marino. Capita che vetri e tende siano «lavati ogni due anni». Che «manchino i materiali, anche creme e pannolini», che si aspetti «sei mesi una visita del podologo» di Giulia Bonezzi

PIO ALBERGO TRIVULZIO

Milano, 14 marzo 2015 - Capita che facciano «un bagno ogni quindici giorni», gli ospiti del Pio Albergo Trivulzio; e vetri e tende siano «lavati ogni due anni». Che «manchino i materiali, anche creme e pannolini», che si aspetti «sei mesi una visita del podologo», «otto per vedere il fisiatra» denuncia Stefania Cultrera, padre alla sezione Pio XI dove «il dentista è impossibile farlo venire». Ma anche preso l’appuntamento, pagato il ticket, accade che la paziente, malata di Alzheimer, sia prima rimandata in reparto perché «non collabora. Poi il dottore ha chiesto a me di levarle le protesi. Ma io facevo il geometra!», sbotta Giampietro Ciceri, in tutti i giorni dalla moglie ricoverata alla sezione «Schiaffinati 5».

A Palazzo Marino, commissione Politiche sociali, parlano i parenti della Baggina. Il loro è «un elenco di fatti», dice Elia Manzelli, comitato di via Bezzi 2, «dove il ginecologo è del tutto assente da due anni, e l’80% dei pazienti sono donne. In tutto il Pat mancano i medici specialisti», anche fisioterapisti e urologi. E il minutaggio d’assistenza, sulla carta superiore tra il 12 e il 20% allo standard della Regione, «non rispecchia la qualità». La Rsa di via Pindaro, gestita dal Pat per conto del Comune, ha due reparti indipendenti per piano: «Se sono in servizio in tre è come averne uno e mezzo», osserva Carla Quarta. Lì c’è molto personale di cooperativa, «il continuo turnover crea confusione negli anziani, la formazione è carente; alcuni, stranieri, non capiscono neanche la nostra lingua».

Dove lavorano solo gli assunti «sono più esperti e capaci d’interagire», riconosce Cultrera, ma tra assenze e invalidità certificate «magari sono in due a sollevare 40 persone. Finisce che un anziano alle 11.30 non è ancora stato alzato, né cambiato». Quando magari, la sera prima, «aveva cenato alle 18 ed era stato messo a letto alle 18.30. Anche d’estate: altrimenti non ci stanno con i turni», continuano quelli della Rsa Pindaro. Dotata di «una cucina bellissima che si sta rovinando perché inutilizzata», ricorda il paradosso Carla Grossi: la preparazione in loco non era scritta nell’appalto, i pasti arrivano dalla Baggina. L’assessore al Welfare, Pierfrancesco Majorino, promette di coinvolgerli nel nuovo bando per le 5 Rsa del Comune (le gestioni attuali scadono a fine giugno). Ma oltre al pane, loro vogliono le rose promesse (a 70-90 euro al dì, per i solventi): l’animazione, vanto nella carta dei servizi, «è inaccessibile agli esterni, non c’è chi li accompagni». E in Bezzi 2 la pendenza di una rampa e le porte tagliafuoco, pur a norma di legge, «sono barriere architettoniche di fatto per gli anziani che dovrebbero spostarsi in carrozzina da soli». «Abbiamo scelto il Pat perché pensavamo di dare ai nostri cari una sistemazione dignotosa, ma riscontriamo che così non è», sintetizza l’amarezza Elena Oddo, comitato Bezzi.

Una rabbia antica, che scatta agli interventi dell’opposizione che prima governava («È così da 15 anni al Trivulzio!»), e a chi governa oggi rimprovera anche il continuo cambio d’interlocutori («La sfiducia al cda è stata una sconfitta per noi»). Nessuno getta la croce su Claudio Sileo, il commissario in carica dall’inizio dell’anno. Lui sollecita i parenti: «Segnalino. Con loro ho visitato tutte le strutture, mangiato in via Pindaro. Da questo mese abbiamo assunto in libera professione 15 infermieri per le tre riabilitazioni e anche fisioterapisti, uno per la Rsa Principessa Jolanda». A fine mese aspetta il report della commissione che ha istituito per verificare come lavorano le cooperative.

giulia.bonezzi@ilgiorno.net