Milano, 3 novembre 2017 - Un naso elettronico per stanare un killer silenzioso. Il tumore dell’ovaio uccide ogni anno circa tremila donne in Italia: benché più raro di altri carcinomi (tra 4000 e 4700 nuovi casi ogni anno) è il più letale di quelli ginecologici. Perché si scopre tardi: «Nell’80-85 per cento dei casi viene diagnosticato al terzo o quarto stadio. La diagnosi di solito è tardiva e conseguente alla comparsa dell’ascite (pancia gonfia a causa di raccolta di liquido nella cavità peritoneale, ndr) che avviene solo in fase avanzata, con una diffusione di malattia a volte impressionante», spiega Francesco Raspagliesi, primario dell’Oncologia ginecologica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Uno dei centri specializzati - un pugno in Italia e pochi anche nel mondo - in grado di effettuare la chirurgia complessa (citoriduttiva) necessaria in fase avanzata, asportando tutta la malattia visibile che in genere interessa diverse parti della cavità addominale. Questa chirurgia radicale alla diagnosi e la successiva chemioterapia consentono di ottenere una mediana di sopravvivenza delle pazienti a 70 mesi, ma la mediana si ferma a 30 mesi nei casi (la maggior parte di quelli trattati in Italia) in cui la chirurgia citoriduttiva arriva dopo un’iniziale biopsia in laparoscopia e tre cicli di chemioterapia eseguiti allo scopo di ridurre l’estensione della malattia.
Il punto è comunque che per il tumore dell’ovaio non esiste una metodica in grado di arrivare alla diagnosi precoce. Il professor Raspagliesi ha cercato d’inventarsela. E adesso, dopo sette anni di lavoro con pochissimi fondi e molta testardaggine su un’idea, ha in mano uno studio molto preliminare che gli dà ragione. «Il tumore produce metaboliti e cataboliti che probabilmente passano attraverso il filtro dei polmoni», spiega: per questo i cani sono in grado di fiutarne la traccia prima dei più sofisticati strumenti diagnostici. «Ma un animale anche addestrato non può essere usato per uno screening su basi scientifiche», chiarisce il professore. Mentre un naso elettronico, dotato di sensori attivati da una serie di composti chimici, sì.
«Sono macchine già usate per scovare sofisticazioni alimentari o ambientali». Raspagliesi ne ha avuta una da un produttore dell’industria alimentare in comodato d’uso; dopo varie delusioni ha trovato la collaborazione di Susanna Buratti e Simona Benedetti, docenti del dipartimento di Scienze alimentari della Statale di Milano. Così è partito due anni fa col progetto “Nose”, testando respiro e urina di persone arrivate al suo reparto con un tumore all’ovaio diagnosticato, o con una massa sospetta, o di volontarie sane. «Sulle urine il metodo non si è dimostrato efficace, ma i risultati preliminari del breath test sono assai incoraggianti». Il naso ha posizionato una cinquantina di donne su un diagramma cartesiano, distinguendo perfettamente le sane dalle malate. Non sono abbastanza per una pubblicazione scientifica, la ricerca continua: «Vogliamo estendere lo studio a 100-120 persone», spiega Raspagliesi, che cerca dunque donne con un tumore, o una formazione ovarica sospetta, o in perfetta salute.
Per candidarsi basta telefonare allo 02/22902507, chiedendo di prenotarsi per il progetto Nose, e andare all’Istituto dei tumori a respirare in un sacchetto. Se l’iter scientifico confermasse i primi risultati, sarebbe una scoperta enorme: un naso elettronico costa tra i 15 e i 20 mila euro, briciole rispetto ad altri strumenti diagnostici, e potrebbe essere usato per uno screening di massa, quello che oggi per il tumore dell’ovaio non esiste. «La sopravvivenza media a 5 anni, che è del 30-35% al terzo o quarto stadio, se fosse diagnosticato al primo salirebbe al 90%». Vorrebbe dire salvare molte vite.