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Tumore al pancreas, scoperta come funziona l’alleanza tra cellule immunitarie e malate: nuove speranze di cura al San Raffaele

La ricerca internazionale realizzata nell’ospedale milanese e pubblicata su “Nature” apre nuove prospettive per battere la malattia: “Siamo sulla buona strada”

La scoperta del San Raffaele apre nuove prospettive terapeutiche sul tumore al pancreas

Milano – C’è una nuova speranza contro uno dei tumori più aggressivi, quello del pancreas. Ad aprire questa promettente strada è una scoperta fatta al San Raffaele di Milano, con l'Istituto Telethon e l'Università Vita e Salute, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista “Nature”. I ricercatori hanno identificato uno dei meccanismi che alimentano la crescita del tumore e che ora quindi diventa un bersaglio terapeutico per rallentare la progressione della malattia.

Un passo avanti

“Abbiamo fatto un bel passo avanti nella comprensione dei processi biologici alla base della malattia. Tuttavia siamo a uno stato di ricerca preclinica ancora distante dall'applicazione nei pazienti”, spiegano gli autori dello studio, sostenuto da Fondazione Airc, Consiglio Europeo della Ricerca e ministero della Salute, e al quale hanno collaborato le Università di Torino e Verona, l'Istituto francese per la sanità e la ricerca medica (Inserm), il centro di ricerca Biopolis di Singapore e l'Università di Shanghai. "I prossimi anni – aggiungono i ricercatori – saranno essenziali per identificare le potenzialità e le modalità più appropriate per agire su questo nuovo bersaglio terapeutico”. 

Cellule immunitarie impazzite

Il tumore al pancreas ha il più alto tasso di mortalità: nel 99% dei casi non concede un periodo di vita superiore ai 5 anni. A favorire la crescita della malattia è l’alleanza fra un particolare tipo di cellule immunitarie, chiamate macrofagi IL-1beta+, e alcune cellule tumorali molto aggressive e note per essere legate a infiammazioni. “Si tratta di una sorta di un circolo vizioso autoalimentato. I macrofagi rendono le cellule tumorali più aggressive, e le cellule tumorali riprogrammano i macrofagi in grado di favorire l'infiammazione e la progressione della malattia”, osserva il coordinatore della ricerca Renato Ostuni, responsabile del laboratorio di Genomica del Sistema Immunitario Innato all'Istituto Sr-Tiget e professore associato all'Università Vita-Salute San Raffaele.

Difficili da colpire

I macrofagi sono cellule del sistema immunitario che si attivano rapidamente per proteggere i tessuti, ma nel caso dei tumori vengono riprogrammate e aiutano la malattia. Vengono chiamati Tam, che sta per "macrofagi associati al tumore” e sono bersagli importanti dell'immunoterapia, ma nel tumore del pancreas è molto difficile colpirli.

Le infiammazioni

La scoperta della loro alleanza con le cellule tumorali potrebbe cambiare la situazione. "Oltre a essere caratterizzato da un sistema immunitario compromesso, che limita l'efficacia anche delle più avanzate immunoterapie, il tumore del pancreas presenta una forte componente infiammatoria – osserva Ostuni – Ciò è particolarmente rilevante poiché l'insorgenza di danni ai tessuti, e le risposte infiammatorie che ne conseguono, quali le pancreatiti, sono noti fattori di rischio per lo sviluppo neoplastico”.

Tecnologia avanzate

Identificare le cellule immunitarie impazzite ha richiesto tecnologie avanzate, un lungo lavoro di analisi e una forte collaborazione, sia fra discipline diverse, dalla genetica alla bioiformatica, sia fra ricercatori e medici del San Raffaele. È stato anche necessario ottenere l'identikit molecolare di migliaia di queste cellule prelevate da pazienti con il tumore del pancreas.

Nascoste in una nicchia

Tutto questo ha permesso di identificare un sottogruppo di macrofagi specializzati nel rendere le cellule tumorali particolarmente aggressive: si annidano in nicchie vicine alle cellule malate, inducendole a scatenare infiammazioni e le cellule tumorali così trasformate potenziano a loro volta i macrofagi.

Risultati incoraggianti

Uno degli obiettivi della ricerca è ora rompere questa alleanza, innanzitutto allontanando i macrofagi dalle cellule tumorali. "I risultati, seppure ottenuti per ora in studi solo di laboratorio, sono incoraggianti”, dicono Nicoletta Caronni e Francesco Vittoria, tra gli autori principali dell'articolo.