Milano - Gli slogan a caratteri cubitali sono ancora in bella mostra on line: esaltano il "filtro attivo a 4 strati", che "è riutilizzabile e agisce contro i patogeni fino a 200 ore di respirazione effettiva"; decantano le qualità del BioLayer, "composto da un principio attivo in grado di autosanitizzare la mascherina e prevenire la proliferazione batterica"; certificano una protezione prossima al 99% "a due vie", "dall’interno verso l’esterno e viceversa".
Eppure quei messaggi, che hanno contribuito al boom di vendite (per incassi tra 10 e 15 milioni di euro) e che descrivono in maniera quasi salvifica le mascherine U-Mask - indossate durante la prima fase della pandemia anche da politici come il sindaco Giuseppe Sala e la vicepresidente della Regione e assessore al Welfare Letizia Moratti e da personaggi pubblici come l’influencer Chiara Ferragni, il marito-rapper Fedez e la totalità dei piloti di Formula Uno – sono state ritenute dall’Antitrust "in grado di ingannare i consumatori circa le effettive caratteristiche e la capacità dei prodotti offerti in vendita di garantire effettivamente la prevenzione pubblicizzata".
In sostanza, le società che le hanno commercializzate con vari nomi (l’ultimo è U-Mask Model 2.2) – l’inglese U-Earth Biotech Ltd e l’italiana Pure Air Zone Italy srl (rispettivamente con sedi operativa e legale in via Bandello, dietro San Vittore) – hanno fatto credere alla clientela che avessero lo stesso livello di difesa dal Covid delle Ffp3. Per questo, è scattata una sanzione da 450mila euro per la violazione di più articoli del Codice del Consumo.
Gli accertamenti dell’Authority partono nel gennaio 2021, stimolati dalle segnalazioni di Codici e di singoli utenti su "profili di possibile illiceità dei comportamenti posti in essere nell’attività di promozione e vendita di prodotti, in particolare mascherine, per la prevenzione del contagio dal virus Sars-CoV-2". Nel mirino finiscono "le modalità di offerta del prodotto U–Mask Model 2, registrato nell’apposita banca dati del Ministero della Salute come “dispositivo medico di Classe 1” (alla stregua delle chirurgiche, ndr )".
Sì, perché sul sito dell’azienda la mascherina viene "impropriamente" descritta "come avente le caratteristiche dei dispositivi di protezione individuale Ffp3/N99 e un’elevata capacità virucida". Negli stessi giorni, la Procura apre un’inchiesta sulle U-Mask, a seguito dell’esposto di una ditta concorrente, e sequestra 15 mascherine e 5 filtri per esaminarne le effettive capacità. Il 15 febbraio, gli ispettori dell’Antitrust si presentano in via Bandello per acquisire documentazione. Tra il 19 febbraio e il 26 marzo, si muove pure il Ministero della Salute, che vieta a U-Earth di mettere in commercio prima la Model Two e poi la sostituta Model 2.1, tanto che la società sarà costretta a registrare la Model 2.2 (attualmente in vendita da 16,30 a 33,60 euro).
Nel frattempo, l’Antitrust continua a investigare, trovando riscontri anche nella corrispondenza e-mail interna all’azienda: da uno scambio tra il 26 febbraio e il 13 aprile 2020, a pochi giorni dall’inizio dell’emergenza coronavirus in Italia, viene fuori ad esempio che il dirigente di una società specializzata nella certificazione di Dpi (dispositivi di protezione individuale), al quale U-Earth si era rivolto per sottoporgli il progetto di una mascherina "al contempo chirurgica e Dpi", ha sospeso prima del completamento il test di filtraggio in entrata della Model 2 "perché già dopo 6 minuti la mascherina lasciava passare circa il 90% del fumo utilizzato" per la prova di penetrazione, a fronte di una percentuale massima del 6% ammissibile per i Dpi. Conclusione: indossare la U-Mask "in pratica è come non avere niente".
Dal canto loro, i vertici delle società accusate si difendono sostenendo che, "pur avendo tutte le caratteristiche delle “mascherine chirurgiche” ed essendo stata validamente registrata come dispositivo medico", la Model Two "presenterebbe una serie di ulteriori caratteristiche che ne migliorerebbero la capacità protettiva, le quali sarebbero debitamente certificate, consentendone la qualificazione come prodotto innovativo".
Tesi respinte al mittente dall’Antitrust, che ieri ha comunicato le conclusioni: la condotta delle aziende, "ingannevole e aggressiva" perché avrebbe approfittato dell’allarme sanitario in atto a inizio 2020 e della successiva recrudescenza del Covid nell’autunno successivo, è stata considerata "pratica commerciale scorretta". Sia sul fronte delle informazioni al consumatore e delle condizioni generali di contratto (solo in inglese sul web fino al 26 febbraio 2021) sia su quello della scelta di imporre la giurisdizione esclusiva delle Corti di Inghilterra e Galles in caso di contese legali.