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Sulla porta ci sono ancora i sigilli. "La casa è questa" dicono gli inquilini incrociati sul pianerottolo al piano rialzato di via Ricciarelli 22, palazzone popolare Aler al quartiere San Siro, allargando le braccia davanti all’appartamento dove il piccolo Mehmed, di 2 anni e 5 mesi, fu ucciso dal padre Alija Hrustic, ventisettenne di origine croata, il 22 maggio di 3 anni fa. L’uomo era stato condannato al carcere a vita l’anno scorso per omicidio, maltrattamenti e tortura ma due giorni fa la Corte d’assise d’appello ha ribaltato il verdetto, annullando l’ergastolo: condanna a 28 anni di reclusione, perché per i giudici non c’era l’intenzione di uccidere; al padre hanno attribuito maltrattamenti aggravati dalla morte del piccolo. In via Ricciarelli nessuno parla della nuova sentenza. Nessuno è informato.
Ma la notizia, una volta appresa, suscita rabbia: "Non è giusto per quel bambino. Il padre non merita sconti: dovrebbe soffrire come ha sofferto Mehmed", commenta un uomo che conosceva quella famiglia, che aveva occupato l’appartemento pochi mesi prima che accadesse la disgrazia. Una vicina dei piani superiori, romena, descrive mamma e papà come "molto chiusi. Non cercavano di stringere amicizia con noi né con gli altri. Il mio bambino di 5 anni e mezzo è coetaneo di Mehmed: qualche volta hanno giocato insieme ma ricordo che suo padre non era molto propenso a farlo stare con gli altri". La maggior parte degli abitanti dice di non sapere nulla ("Vivo qui da poco") o non vuole pronunciarsi, nel caseggiato dove tutto è rimasto come tre anni fa: resta la piaga delle occupazioni abusive, sono realtà i viavai continui, notte e giorno. Gli schiamazzi.
Fuori, sull’aiuola senza erba né fiori di via Ricciarelli, si ammassa l’immondizia. "Ogni giorno una discarica diversa. Oggi vediamo vecchie scarpe e stracci, domani chissà. Se potessi, da qui me ne andrei anche domani", fa sapere un’inquilina regolare. Che ne è stato della moglie di Hrustic e delle due figliolette più grandi che abitavano nello stesso alloggio? "Qui non si sono più viste. Non avevano parenti nella zona", continuano i vicini. Lo scorso anno, secondo fonti fidate, la donna viveva in una comunità insieme al figlio che aspettava all’epoca del delitto (è nato a ottobre 2019) ed è stata separata dalle altre due figlie, anche loro in comunità, così come dal primogenito che si trova in Croazia affidato ai nonni. Passando davanti alla porta dell’appartamento del piano rialzato, la mente corre a quel giorno di maggio. Nell’atrio della scala fanno capolino tre passeggini, a pochi passi dalla parete dell’appartamento degli orrori. Segno di vita. Speranza di futuro. Ma a vederli, il cuore si stringe pensando a Mehmed.
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