ANDREA GIANNI
Cronaca

“Non puoi rispondermi”, poi le coltellate. Condannato all’ergastolo per l’omicidio della moglie

Milano, dopo anni di maltrattamenti uccise la donna. Wafaa Chrakoua non ha mai denunciato per paura che i servizi sociali portassero via i figli

Wafaa Chrakoua, originaria del Marocco, aveva 51 anni quando fu uccisa

Wafaa Chrakoua, originaria del Marocco, aveva 51 anni quando fu uccisa

MILANO – Un audio, inviato il 10 agosto 2022 da Bouchaib Sidki alla moglie, Wafaa Chrakoua, riassume la mentalità dell’uomo che il 30 novembre dello stesso anno avrebbe ammazzato la donna a coltellate nella casa popolare in via Lope de Vega dove viveva la famiglia: "Io sono l’uomo (...) tu non devi rispondermi quando io ti dico qualcosa. Non è un matrimonio questo qua, la donna dovrebbe stare zitta". È uno dei messaggi riportati nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 27 giugno la Corte d’Assise ha condannato l’uomo all’ergastolo per omicidio volontario, riconoscendo anche l’aggravante dei maltrattamenti. È "irrilevante", sottolineano i giudici, che la donna "non abbia mai trovato la forza di denunciare il marito", anche "per il condizionamento culturale che le impediva di separarsi" da lui.

Come non "ha valore di giudicato" l’archiviazione del procedimento per maltrattamenti che fu aperto d’ufficio dopo tre "annotazioni" del 2015, 2019 e 2021. La Corte mette in luce la "totale assenza di resipiscenza ed elaborazione critica" da parte dell’imputato, che nel processo ha pure "tentato in modo grossolano di attenuare le responsabilità". Lui che aveva sempre l’atteggiamento "di chi vuole mantenere il controllo sulla donna" e "teneva la famiglia in una condizione di grave indigenza".

Quel femminicidio, quindi, "costituisce la degenerazione di precedenti condotte di maltrattamenti, poste in essere" per tutta la vita coniugale. La donna, però, non aveva mai voluto denunciare anche "per il timore di un intervento dei servizi sociali e di un allontanamento dei figli", assistiti come parti civili dagli avvocati Raffaella Quintana e Alberto Angeloni. I giudici, comunque, fanno presente che per i maltrattamenti si può procedere d’ufficio, proprio per la "paura" che spesso impedisce "di denunciare".