Milano, 4 settembre 2023 – Diciottomila domande per cinquemila posti in Bocconi, che attrae di più anche dagli Stati Uniti e che programma nuovi cantieri: due palazzi con aule, uffici, centri di ricerca e un nuovo asilo nido per docenti, ricercatori, studenti e per il quartiere. "Siamo come la Fabbrica del Duomo: quando chiudiamo un cantiere è tempo di aprirne un altro. È un campus vivo", sottolinea il rettore Francesco Billari al quale, per la prima volta dalla sua nomina, spetta il compito di accogliere le matricole in via Sarfatti. "Ed è davvero emozionante", confessa. Gli studenti sono già arrivati a Milano. Questa settimana cominceranno le lezioni.
Come sono andate le domande di iscrizione rispetto allo scorso anno?
"Sono stabili e continua ad aumentare la quota di studenti non italiani: le domande arrivano per il 40% dall’estero. Nel triennio siamo vicini al fifty fifty. È quello il trend: anche per temi demografici la componente italiana non sale mentre aumenta quella internazionale".
È cambiata la “geografia“? Da dove arrivano le domande?
"Attiriamo da posti diversi: i primi Paesi continuano a essere Francia, Turchia, Cina e Germania. Stanno crescendo parecchio però gli Stati Uniti, che sono stati molto presenti nella Summer School: questa estate la nazionalità più rappresentata è stata quella turca, seguita da quella italiana e statunitense. Ed è uno sviluppo molto interessante".
Una sorpresa?
"Negli Stati Uniti spesso gli studenti e le famiglie non sono abituati a guardare fuori dai confini nazionali: sono molto grandi, non si ‘rendono conto’ dell’esistenza di altre ottime università. Forse stanno cominciando a guardarsi più attorno. Lì l’università è carissima: abbiamo parlato tanto in questi mesi di caro-affitti, ma loro sono su un’altra scala. Probabilmente poi riusciamo a richiamare anche studenti particolarmente orientati verso l’Europa, di seconda, terza, quarta generazione. Ci sono diverse componenti che possono spiegare questa attenzione. Certo la presenza di corsi in inglese è una precondizione: se un’università funziona tutta in italiano è difficile attrarre. A questo aggiungiamo il consolidamento di un’università come la nostra, che sempre più internazionale".
Per le altre nazionalità si sente ancora l’effetto Brexit?
"Credo che Brexit sia ‘servita’ per svegliare l’attenzione, soprattutto a livello europeo, di chi dava per scontato uno sbocco in Inghilterra. Non sempre Milano diventava oggetto di scrutinio da parte dei francesi, per esempio. Ora ci si informa di più".
Tutti dovranno però sempre studiare la lingua italiana.
"È obbligatorio per il triennio e per il biennio. E serve per tanti motivi: sono studenti che dovranno restare almeno due anni qui, e la lingua è un modo per entrare nella nostra cultura, sarebbe un’occasione sprecata non impararla. E poi vorremmo contribuire ad attrarre e trattenere talenti nel nostro Paese".
Avete nuovi corsi al debutto?
"Stiamo partendo con Global Law, la nostra prima laurea triennale giuridica in inglese, che ha avuto un grande successo di domande, e con il master in Artificial Intelligence, sempre in inglese, che chiude il percorso partito col triennio".
Qualche mese fa ci aveva confidato un obiettivo: la creazione di un dipartimento di Scienze cognitive in Bocconi.
"Ci stiamo lavorando, con pazienza ed esperti internazionali. Non faremo nulla di azzardato".
La didattica a distanza è ufficialmente archiviata?
"Non buttiamo tutto alle ortiche, ma offriamo la possibilità di collegarsi alle lezioni o vedere le registrazioni solo nei casi in cui altrimenti si resterebbe esclusi. E quindi per malattie lunghe, per chi si trova senza visto o in situazioni di disastro ambientale, come lo scorso anno dopo il terremoto in Turchia, o per gli studenti in stage all’estero; sfruttiamo la tecnologia per essere più inclusivi nella didattica, ma teniamo al fatto che gli studenti siano nel campus Bocconi, abitino qui vicino e interagiscano tra loro e con i docenti. L’approccio può essere ibrido, con alcune ore online all’occorrenza, se c’è per esempio una testimonianza di un esperto collegato dall’estero, ma il fulcro è qui".
Con il rientro degli studenti si riapre a Milano il tema del caro-affitti. Ci sono progetti all’orizzonte?
"Noi partiamo da una situazione avvantaggiata, abbiamo flessibilità nelle nostre residenze e un accordo con uno studentato privato sempre in zona Bocconi. Siamo però interessati al futuro del Villaggio Olimpico, anche se si parla dell’estate del 2026, e seguiamo con attenzione il tema. Speriamo anche che negli sviluppi immobiliari la città tenga conto delle esigenze degli studenti: c’è una strana attenzione all’altezza degli edifici quando si costruisce qualcosa di universitario mentre tutto il resto può essere alto. Ma una città come Milano deve sfruttare l’altezza non solo per uffici e abitazioni di lusso, anche per i giovani".
Altri cantieri in vista?
"Abbiamo alcuni progetti in fase di autorizzazione su tre aree, già di proprietà di Bocconi. Vogliamo rendere il campus ancora più verde e rinnoveremo due grandi edifici da qui al 2029 per creare aule, uffici e un centro di ricerca. Vorremmo migliorare anche gli spazi esterni: abbiamo già avviato uno studio, con un questionario a studenti, staff e docenti per raccogliere pareri. Finalmente siamo riusciti a ottenere le strisce pedonali in via Sarfatti: un piccolo intervento che ci ha permesso di unire il campus. Un altro progetto a cui teniamo molto è la costruzione di un nuovo asilo nido in un’area oggi non utilizzata".
A chi sarà aperto?
"Sarà a disposizione sia della comunità Bocconi che del quartiere. Abbiamo già un nido bilingue, ma piccolino e abbiamo bisogno di spazi nuovi perché vogliamo che i nostri studenti, ricercatori e docenti possano conciliare lo studio e il lavoro con la vita familiare".