Milano – Cent’anni da celebrare in 18 mesi, come i 18 mesi del parto complicato dell’Università Statale di Milano che, dopo il braccio di ferro con Pavia, crebbe velocemente. Che gemmò e generò a sua volta altri frutti (Bicocca e l’Insubria negli anni Novanta) e che ha ridisegnato la città e i suoi quartieri, oltre ad avere lasciato un segno nella storia del Paese.
Un secolo che si sfoglia attraverso le fotografie (dalla Ca’ Granda bombardata durante la Seconda Guerra Mondiale ai movimenti studenteschi). Un secolo che si ripercorre attraverso i volti, primo fra tutti quello del rettore, fondatore e sindaco Luigi Mangiagalli, ma anche del filosofo Piero Martinetti, tra gli unici 12 professori italiani che rifiutò di prestare giuramento al fascismo.
Un secolo che prende forma attraverso gli oggetti: un tesoro per anni chiuso negli armadi dei professori, negli archivi, custodito nei corridoi del rettorato diventa pubblico. Il Centenario si apre, infatti, insieme a Vumm, il museo virtuale dell’università, che unisce tutte e 22 le collezioni dell’ateneo e mostra pezzi prima inaccessibili per raccontare la storia da angolature diverse (anche con la collaborazione di Google Arts and Culture sono state prodotte 2.600 immagini esplorabili).
Tutto ha inizio il 28 agosto del 1924, in Prefettura, con la firma della convenzione che segnò la nascita dell’università. "Ma la Statale è stata un connettore di realtà culturali che già esistevano. E questo ha segnato la sua anima multidisciplinare - ricorda il rettore Elio Franzini -. Medicina è nata dagli Istituti principi di perfezionamento, sono confluite qui l’Accademia letteraria di Scienze e Lettere, le scuole di Veterinaria e di Agraria".
Un patrimonio scientifico immenso, da condividere. Per dare un assaggio sono stati messi in mostra anche i “frutti artificiali“ di Francesco Garnier Valletti, il più famoso dei modellatori che, nella seconda metà dell’Ottocento, si cimentò nella riproduzione a scopo scientifico e documentario di fiori e frutti. Tra papiri e quadranti equinoziali, ci sono le memorabilia della Statale: dallo “scettro“ del rettore Mangiagalli al sigillo dell’università, dalla medaglia celebrativa realizzata da Giacomo Manzù nel 1951 al gonfalone del 1933 fatto di seta, metallo e pietre preziose per annunciare con Minerva armata il trasloco nel cortile di Festa del Perdono.
Tutto consultabile virtualmente (si può anche entrare in Ca’ Granda da 18 punti diversi) mentre passeggiando in ateneo si possono inquadrare qr-Code che spalancano finestre e curiosità. Perché i cent’anni della Statale si ripercorrono anche negli spazi. Spazi conquistati, spazi che mancano sempre. "Mangiagalli iniziò a prevedere il futuro universitario di Città Studi già nel 1913 - racconta il rettore Franzini -. Dopo la sua fondazione iniziò a crescere a una velocità che impressionò lo stesso Mangiagalli. Il problema degli spazi è una costante nella nostra storia.
Lui, sindaco, aveva appena finito di costruire una scuola elementare in quello che sarebbe diventato il liceo Moreschi: il primo rettorato lo troviamo lì". Pensava di trasferirlo in Città Studi ma non c’era già più posto: lo mise in Porta Romana, dove c’era l’ufficio elettorale. E via così, raddoppiando aule, ritagliandosi aree da via Noto a Sesto, fino al futuro tripolare: Festa del Perdono, Mind e Città Studi per il secondo secolo di vita.
«Cent’anni fanno sorridere atenei come Bologna, Padova, Pavia, che sono abituati ad altre primavere. Ma sono stati cent’anni di un grande percorso in cui la Statale è stata parte attiva da punto di vista scientifico, politico e sociale", ricorda Alberto Martinelli, professore emerito di Sociologia e Scienza politica, che ha visto nascere la sua facoltà, a cavallo tra il ’69 e il ’70. Che ricorda "lo storico e arduo passaggio da università d’élite a università di massa, l’impronta lasciata dalla Statale nelle riforme e politiche nazionali, la scelta coraggiosa di far nascere Bicocca e i grandi risultati scientifici. Di oggetti da raccogliere e da mostrare ce ne sono ancora tanti: questo è solo l’inizio". Il racconto sarà corale, coinvolgendo alumni, artisti (il palinsesto ha la direzione artistica di Massimiliano Finazzer Flory), coinvolgendo la città.