Milano – C’è chi studia la montagna e le strategie per poter restare. Chi si specializza per aiutare i borghi a combattere lo spopolamento e la fuga dei giovani verso le città. E c’è chi viaggia controcorrente, lasciando la pianura lodigiana per costruirsi una vita e una professione in Val Camonica.
È dal 39° piano di Palazzo Lombardia che l’università Statale di Milano ricorda la sfida: “C’è una montagna che va riordinata, che ha ancora molto da dire e da dare: noi lo diciamo da dentro, dal nostro polo universitario che a Edolo richiama ogni anno più di 200 studenti dall’Italia e dall’estero", sottolinea Anna Giorgi, responsabile di Unimont, nata 25 anni fa. Con lei ci sono 23 nuovi diplomati del Master in Project management per la montagna: 30-35 anni l’età media, storie diverse alle spalle, progetti in mano.
Mattia Ferrari ha 26 anni, laurea in Scienze politiche a Pavia, magistrale in Amministrazione e politiche pubbliche a Milano. Poi la svolta: "Sono riuscito a trasferirmi a Ponte di Legno, dove trascorrevo le mie vacanze", racconta. Lavora come istruttore tecnico in Comune e intanto ha steso due progetti con l’obiettivo di intercettare bandi e risorse, dall’Europa e non solo: "La rivincita dei borghi alpini", il minimo comune denominatore, con un museo del latte in un ex caseificio abbandonato e un teatrino nell’ex chiesa di San Rocco per portare socialità e ricostruire un’identità che si sta smarrendo. "Io sono un’eccezione – ricorda – non ci sono tanti giovani anche nella mia cerchia di amici che avrebbero fatto la stessa scelta, ma non mi sono pentito, cerco di dare il massimo qui, perché il territorio ha un bisogno impellente di project manager ma anche di persone che si diano da fare nella vita di comunità".
Chiara Mezzetti, 50 anni, ha una laurea in Architettura al Politecnico, è libera professionista e ricercatrice. "Abito a Gallarate – racconta – ma mi sono sempre occupata di territori periferici". Nelle aule di Unimont si è focalizzata sull’analisi dei servizi essenziali per contrastare lo spopolamento delle montagne, dall’istruzione alla sanità, passando dai trasporti. E sta collaborando anche con il Comune di Laveno-Mombello, tra lago e monti. "Qui c’è un fondovalle profondamente industriale da ridisegnare, si sta cercando di investire su sport e turismo montano – spiega – e abbiamo avviato un primo progetto per ripartire dai giovani, da quello che vogliono ora e che vorrebbero per poter restare". Una struttura è stata già rivalorizzata mentre si stila la lista delle priorità: "Hanno urlato la mancanza di spazi per studiare, per suonare, per non fare niente, per aspettare il pullman. Spazi per stare insieme, oltre a mezzi pubblici mirati". La contromossa parte da qui.
Raffaella Pradetto Bonvecchio, 47 anni, mamma di quattro figli, gestisce un bed and breakfast ed è tornata sui libri per rivitalizzare il “suo“ borgo, San Pietro di Cadore, in provincia di Belluno, un territorio dolomitico diverso da quello più “calpestato“ dai turisti. "Si sente il bisogno di tante professionalità e di qualcuno che conosca il territorio e che riesca a creare qualcosa su misura, facendo incastrare tutti i pezzi del puzzle e intercettando i fondi messi a disposizione dall’Europa – spiega –. Purtroppo la fuga dei giovani si vede anche qui. Io ho studiato a Udine e Venezia: spesso quando ti allontani apprezzi quello che avevi e vuoi tornare a lavorare per il tuo territorio".
Come Mattia Genovese, che dopo la laurea in Filosofia è tornato a Fabriano, nelle Marche, e collabora con l’Unione Montana Esino Frasassi come progettista, coordinatore e animatore di comunità. O come Dimitri Stabilini, che si sta concentrando sulle smart road e una mobilità green per la Valle Seriana. "Le montagne oggi hanno un saldo negativo: danno tantissimo, ma si svuotano – conclude Claudia Sorlini, vicepresidente di Fondazione Cariplo, che ha visto nascere Unimont quando era preside della facoltà di Agraria della Statale – Anche la mancanza di innevamento sta facendo saltare risorse: quest’anno sono stati chiusi 300 impianti, 50 di questi si trovano in Lombardia. Bisogna restituire alla montagna quello che dà, prima di tutto in termini di cervelli".