Milano – “È giusto che Vallanzasca venga curato. Le cure sono previste dalla nostra Costituzione, dal buon senso, dal civismo. Ma questo non può, non deve diventare un motivo per dimenticare il pregresso, il suo terribile passato, i gravissimi reati che ha commesso, le vittime di questi reati e i loro familiari, che troppo spesso vengono dimenticati”. Emanuela Piantadosi ha quattordici anni quando perde il padre, Stefano, maresciallo dei carabinieri assassinato da un evaso con un colpo alla nuca. Nel 2007 con Irene Ferrari, moglie del maresciallo dell’Arma Giorgio Di Pietro, ucciso in servizio, fonda l’Associazione di volontariato Vittime del Dovere, e tuttora la presiede. L’associazione riunisce i familiari di rappresentanti delle forze dell’ordine, delle forze armate, della magistratura che hanno sacrificato la vita.
Quindi, dottoressa Piantadosi, è giusto prestare a Renato Vallanzasca le cure dovute, ma senza dimenticare chi è stato Vallanzasca.
“Certo, sarebbe importante, se mai lo stato di salute lo consentisse, ascoltare da parte sua una parola di pentimento che finora non c’è stata. Un momento di lucidità per ricordare le vittime, sarebbe in qualche modo una forma di revisione della sua vita”.
E il ruolo dell’istituzione carceraria?
“Un’attenzione per le vittime e le loro famiglie dovrebbe far parte del percorso di rieducazione di tutti i detenuti. Sarebbe qualcosa di consolatorio per tutti i familiari che hanno sofferto una perdita, che trovano una sedia vuota ogni volta che si siedono a tavola. Queste famiglie sono seguite per l’intera vita dalla vicenda che hanno sofferto e spesso la vedono raccontata in maniera edulcorata. Il dolore è una presenza costante. È una sorta di stillicidio quello di sentire rievocata di continuo, regolarmente, la vicenda che li ha colpiti e il responsabile del loro dolore”.
Con che scopi è nata l’Associazione e cosa chiede?
“Chiediamo più sensibilità da parte delle istituzioni e dello stesso ministero della Giustizia. Vediamo una grande attenzione per gli autori del reato e un’attenzione minore per le vittime, le loro esigenze, le loro aspettative. Chiediamo da tempo un tavolo tecnico di lavoro che dia attenzione alle vittime. Chiediamo una considerazione diversa anche in quello che è il processo penale, dove i familiari delle vittime entrano in funzione civilistica per ottenere un risarcimento economico e, solo incidentalmente, svolgono una funzione di supporto all’azione penale. Quest’ultima resta, in ogni caso, prerogativa unica della procura della Repubblica. Questo, a mio modo di vedere, è abbastanza avvilente. Sarebbe, al contrario, opportuno che i familiari seguissero l’autore acclarato del reato anche durante la fase esecutiva della pena ovvero nel corso della detenzione. Non siamo interpellati. Invece vogliamo essere informati, costantemente aggiornati, essere parte attiva. Abbiamo fatto presente tutto questo al ministro Nordio, anche di recente”. L’associazione, nata con carattere nazionale e apartitico, conta oggi circa 500 famiglie associate. La sede legale è a Monza. Le finalità sono diverse. Onorare i Caduti con iniziative che ne tengano viva la memoria. Lavorare per una legislazione che riconosca e rispetti il loro sacrificio. Tutelare nella maniera più equa le famiglie delle vittime e degli invalidi. Diffusione della cultura della legalità tra i giovani.
Il dolore non si cancella.
“Per noi – conclude Emanuela Piantadosi – è fondamentale fare memoria, ricordare, soprattutto alle nuove generazioni, il sacrificio dei nostri congiunti, caduti per garantire sicurezza, legalità e giustizia alla nazione. Voglio ricordare, fra tutti, le vittime della banda Vallanzasca che vestivano la divisa delle forze dell’ordine: Luigi D’Andrea, Renato Barborini, Giovanni Ripani, Bruno Lucchesi. Giovanio uomini che, prima di essere trucidati in modo efferato, avevano davanti a sé un futuro tutto da vivere. La loro tragica scomparsa ha lasciato nel dolore e nello sconforto genitori, mogli, figli”.