VALENTINA TARANTINO
Cronaca

Vent’anni di sogni avverati: "Uno ogni 2 giorni e mezzo ma vorremmo fare di più"

Sune Frontani col marito Fabio nel 2004 ha portato in Italia la onlus Make a wish "Una forma di cura, servirebbe a 5.500 bimbi che si ammalano all’anno".

Sune Frontani col marito Fabio nel 2004 ha portato in Italia la onlus Make a wish "Una forma di cura, servirebbe a 5.500 bimbi che si ammalano all’anno".

Sune Frontani col marito Fabio nel 2004 ha portato in Italia la onlus Make a wish "Una forma di cura, servirebbe a 5.500 bimbi che si ammalano all’anno".

Vent’anni di attività e più di tremila desideri realizzati per bambini affetti da malattie gravi. Un traguardo che Make a Wish Italia ha festeggiato ieri sera al teatro Manzoni, offrendo a volontari e famiglie una serata intrisa di magia. In scena uno spettacolo scritto, diretto e presentato da Andrea Rizzolini, campione del mondo di mentalismo, per la produzione di Officine dell’incanto. E piccoli attimi di magia sono quelli che questa onlus offre a tutti i ragazzi che accedono ai suoi programmi, spiega la presidente e co-fondatrice Sune Frontani.

Com’è nata l’associazione?"Make a Wish Italia è nata nel 2004, siamo stati io e mio marito a fondarla in memoria di nostra figlia Carlotta. In realtà, questa onlus operava già all’estero – oggi è attiva in 50 Paesi – e noi volevamo che anche i bambini italiani affetti da gravi malattie potessero esaudire i loro desideri. Perché alla fine è questo il nostro obiettivo. Realizzare i sogni dei pazienti più piccoli, per far loro capire che tutto è possibile, per proiettarli nel futuro e distrarli dalle cure, spesso molto pesanti, cui sono sottoposti. E, soprattutto, per farli tornare spensierati. Perché quando arriva la diagnosi di una malattia grave, i bambini perdono improvvisamente la loro quotidianità, la scuola, gli amici, e non si sa fino a quando. Tutto questo porta con sé isolamento e depressione, sensazioni che noi cerchiamo di spazzare via, restituendo la speranza di un futuro diverso e gioioso".

Qual è l’impatto di un desiderio?"Per noi un sogno realizzato equivale a una cura. Chiaramente non è la cura, a quella ci pensano i medici. Ma è provato che la psicologia positiva ha un impatto importante sul modo in cui i bambini reagiscono alle terapie farmacologiche e al periodo difficile che sono costretti ad attraversare. Vedere il proprio sogno realizzarsi aiuta il bambino ad andare avanti, lo rende più forte. E si può dire che, quando questo accade, sappiamo di aver esaudito due desideri: quello del ragazzo e quello della sua famiglia, che è, poi, di vederlo felice".

Ci sono dei desideri più ricorrenti?"Quello in assoluto più frequente è visitare Disneyland Paris. Il perché si capisce: il mondo Disney è incanto, per i più piccoli come per i grandi. Ma per il resto i desideri sono davvero di ogni tipo: una ragazza ha chiesto di andare ai Grammy Awards, un’altra di incontrare Lady Gaga. O, ancora, un ragazzino ha fatto la telecronaca di una partita della Juventus, la sua squadra del cuore. C’è chi vuole essere cavaliere medievale o principessa. Una bimba ha persino desiderato volare come una farfalla – e sì, siamo riusciti a “metterle le ali” per un giorno. La cosa impegnativa e al contempo meravigliosa di questa organizzazione è che non puoi prevedere quale sarà la prossima richiesta. Resta certo, però, che sarà elaborata con la fantasia che solo i bambini hanno. E noi ci affezioniamo a tutti i desideri, anche a quelli apparentemente più semplici".

Come ha visto crescere Make a Wish in questi vent’anni?"Intorno a me adesso ci sono tantissimi amici, sostenitori e volontari. Ma tutto è iniziato sul tavolo della mia cucina, quando abbiamo realizzato il primo desiderio, quello di Josip, che voleva incontrare un giovanissimo Cassano, allora giocatore della Roma. Non avevamo nemmeno un ufficio, eravamo solo tre volontarie. Negli anni siamo cresciuti: oggi abbiamo duecento volontari in tutta Italia, uno staff di quindici persone e due uffici, ma c’è ancora tantissimo da fare. Mi piace dire che questi sono i nostri primi vent’anni. Certo, siamo orgogliosi di quello che abbiamo fatto, realizzando, in media, un sogno ogni due giorni e mezzo. Ma non basta, perché annualmente in Italia ci sono cinquemilacinquecento nuove diagnosi che riguardano bambini potenzialmente eleggibili per i nostri programmi. Noi vogliamo raggiungere tutti. E lo possiamo fare solo con l’aiuto di tutti".