CLAUDIO
Cronaca

Verso il Duomo. Viaggi e miraggi del mitico 23

L'articolo racconta la nostalgia per il tram numero 23 di Milano, simbolo di vita quotidiana e incontri umani, tra ricordi e personaggi vari che lo hanno reso unico nel tessuto urbano della città.

L'articolo racconta la nostalgia per il tram numero 23 di Milano, simbolo di vita quotidiana e incontri umani, tra ricordi e personaggi vari che lo hanno reso unico nel tessuto urbano della città.

L'articolo racconta la nostalgia per il tram numero 23 di Milano, simbolo di vita quotidiana e incontri umani, tra ricordi e personaggi vari che lo hanno reso unico nel tessuto urbano della città.

Negri

Il 23. Nella cabala urbana di molti di noi era un numero magico che si giocava sulla ruota di Milano, ruota del tram. Il 23, appunto. Specie in ottobre, quando la città sembra tornare a concentrarsi, ai passeggeri di quella linea estinta capita di pensare al loro vecchio dinosauro. Non è solo una questione di numero. Dal fondale di quel tragitto quotidiano tra periferia e centro, o viceversa, riemergono in ordine casuale quelle mattine e quei pomeriggi sotto il caro, livido cielo della Milano di allora. Con noi scarrozzati come attori in transito, volti e maschere itineranti in replica, medesimo copione. C’erano grandi, ignari interpreti, a bordo del 23: l’impiegata dalle calze bianche da infermiera, bionda dispersa in misteriose cancellerie di computisteria; le due ragazze in eskimo verde militante, simili anche nei capelli di meduse corvine; il giovane professore di filosofia che sorrideva fisso alla predella; il funzionario (di qualcosa) del Palazzo di Giustizia che guardava in su, dal finestrino, il non definito cielo di Milano, nell’intrico dei fili e dei viali. Commedia dell’arte, ma soprattutto commedia umana. Perché sul 23 sembrava ci salissero anche tipi disturbati. Erano soprattutto attori d’occhi e di occhiate. Come quell’anziano Caronte di via Cappellari, occhi di bragia sanguigna: il 23 come reparto ambulante di oftalmologia. Su tutti, gli occhi di azzurro acquoso di un triste ma nerboruto passeggero: aveva lo sguardo, avrebbe detto lo zio Ernesto, di uno stupratore cui fosse andata buca. Comunque sia, onore al 23. Trottava da una Lambrate ancora nebbiosa all’impennata gotica del Duomo. Così tutte le mattine intrise e tutti gli affamati pomeriggi in direzione opposta, sferragliando per una città che poteva essere al tempo stesso Praga e Costantinopoli. Cieli bigi e risacche di cortei, col tram che cominciava a fare sul serio da via Nino Bixio in su. Ci consola sapere che il 23 è stato il bastimento condiviso da tanti di noi, che lo abbiamo abitato nei nostri giorni non distratti.