Milano, 16 aprile 2019 - Sono le 16.01 del 19 aprile 2018. Un uomo entra nel box numero 59 del parcheggio di via Poerio al volante di una Ford Focus station wagon, scende dall’auto e tira fuori una bilancia. Qualche secondo dopo, l’uomo apre il bagagliaio per prendere quattro sacchi di plastica lucida nera. Cosa c’è all’interno di quei bustoni? Marijuana, otto chili per l’esattezza. E quell’uomo è Enzo Anghinelli, il 46enne ferito a colpi di arma da fuoco venerdì scorso mentre si trovava alla guida della stessa Ford Focus utilizzata un anno prima per il trasporto della marijuana.
La prova che Anghinelli era definitivamente rientrato nel giro dello spaccio di stupefacenti arriva dagli atti dell’inchiesta della Guardia di Finanza, coordinata dal pm Angelo Renna, su un maxi traffico di droga sull’asse Spagna-Italia: nelle carte dell’indagine chiusa a novembre, che il Giorno ha potuto consultare, viene ricostruito anche il ruolo del 46enne e dei suoi sodali Matteo Pozzi e Mauro Quaglia, che usavano il garage a due passi da piazza Fratelli Bandiera come deposito di marijuana, hashish e cocaina.
Per giorni, i militari del Gruppo operativo antidroga del Gico hanno tenuto d’occhio quel magazzino a due passi dal centro, registrando puntualmente tutti i movimenti di Anghinelli e compagnia. Ora quelle annotazioni sono finite sotto la lente degli agenti della Omicidi della Squadra mobile, coordinati dal pm Leonardo Lesti e dal dirigente Lorenzo Bucossi, che stanno indagando sul tentato omicidio del 46enne, ancora ricoverato in coma indotto nel reparto di Neurorianimazione del Policlinico. In sostanza, il box numero 59, monitorato da telecamere e cimici, si era trasformato nel quartier generale di Anghinelli, Pozzi e Quaglia, almeno stando a quanto accertato dagli inquirenti. In più occasioni, Pozzi e Quaglia, entrambi con precedenti per reati legati agli stupefacenti, sono stati visti preparare le dosi di cocaina prima di uscire a spacciare: «Queste qua poi le tieni per quello lì... quelli che... perché son belle... per quello lì che si era lamentato», dice Pozzi a Quaglia in un’occasione.
E i quattro sacchi trasportati da Anghinelli il pomeriggio del 19 aprile? secondo le fiamme gialle, gli furono consegnati dall’albanese eduart mecani qualche ora prima all’interno del parcheggio del centro commerciale portello. non erano sacchi qualsiasi, bensì involucri della stessa fattezza di quelli intercettati dai carabinieri di settimo milanese il 28 aprile: quella volta, gli uomini dell’arma bloccarono mecani e il camionista enzo di mauro mentre stavano scaricando da un tir partito da barcellona 206 chili di marijuana nascosti tra gli scatoloni pieni di lana di roccia. conclusione: stando a quanto ricostruito nell’indagine, mecani era il fornitore di anghinelli. non solo marijuana, però. nel box c’erano pure hashish e cocaina, come dimostrato dal blitz del 10 luglio 2018 terminato con l’arresto in flagranza di pozzi: sotto sequestro 70 grammi di coca e 3,5 chili di hashish.
Insomma, Anghinelli, come già ipotizzato nei giorni scorsi, era tornato a smerciare droga, seppur a un livello più basso rispetto a quello raggiunto prima dell’arresto del 2007 a monte dell’indagine «white» dei carabinieri dell’antidroga (una delle persone coinvolte in quell’operazione, Francesco Intagliata detto «il pugile», ci ha fatto sapere tramite il suo avvocato di essere poi stato assolto da tutte le accuse). anghinelli fu condannato a un totale di 11 anni. nel 2016 è uscito. e nel 2018 è finito nuovamente nel mirino degli investigatori. poi, venerdì scorso, i cinque colpi di pistola, di cui uno a segno allo zigomo sinistro. colpi sparati per uccidere. da chi? il movente dell’agguato è collegato al nuovo giro che il 46enne aveva messo in piedi?