
La mostra nel “suo“ Politecnico, tra schizzi in punta di biro, appunti, arredi e opere d’arte mai esposte prima
Otto tavoli di lavoro, otto petali del “Corollario“ di Carlo De Carli: uno è connesso all’altro, non potrebbe essere altrimenti, in un gioco di rimandi continuo tra design e architettura, insegnamento e arte, scrittura e bozzetti in punta di biro. A ospitare la mostra - con materiali unici e dipinti mai esposti prima - è il “suo“ Politecnico di Milano, nello spazio-mostre Guido Nardi del campus di Architettura. Tra i curatori ci sono anche la figlia Margherita e la nipote Lola Ottolini, che qui si è laureata e oggi lavora come docente. Gli oggetti e i documenti disseminati lungo il percorso sono frutto di un lavoro di ricerca tra l’archivio donato all’università (è stato costituito il Fondo De Carli) e l’archivio più intimo, custodito dalla famiglia.
Ad accogliere i visitatori in via Ampère è la Sedia 683, progettata da De Carli, prodotta dall’azienda Cassina e premiata nel 1954 con il Compasso d’Oro. Non è semplicemente in mostra: l’invito è a sedersi, per guardare da lì disegni preparatori e appunti, per sfogliare documenti originali. Alle spalle i modellini dei mobili d’arredo più iconici, dal “Mobile vetrina“ del 1941 al “Tavolo a farfalla“, che si incontreranno nello spazio espositivo, tra gli otto tavoli (ciascuno ha un suo curatore) che svelano le diverse sfaccettature dell’architetto, del designer, dell’artista, del direttore di riviste, del professore. Che al Politecnico fu anche preside della facoltà di Architettura fino al 1968, in anni di rinnovamento didattico, in anni turbolenti: restò al fianco degli studenti anche durante l’occupazione, fu destituito per questo. E da lì cominciò a disegnare con più assiduità, a scavare nella materia, a creare quadri-sculture. Su una parete sono raccolte le sue opere, mai esposte prima, che raffigurano luoghi dell’anima, ritratti di famiglia, ma che ripercorrono metaforicamente anche le vicende della Scuola di Architettura. Su un altro tavolo si leggono appunti e lettere, si scoprono le "corrispondenze di sensi" con Gio Ponti, Carlo Mollino, Lucio Fontana, con il filosofo Dino Formaggio, che volle portare anche tra le aule del Politecnico. Si scopre l’elenco-disegnato dei suoi mobili durante i traslochi da una casa milanese all’altra, ci sono i maxi-schizzi in scala “1 a 1“, si insegue il suo concetto di “Spazio Primario“: solo il gesto umano di relazione definisce il senso di spazio e oggetti.
"Perché una mostra su Carlo De Carli adesso? Perché pensiamo che la sua opera e il suo pensiero siano molto attuali – spiega la curatrice e nipote Lola Ottolini – e perché ci siamo resi conto di potere attingere a un patrimonio di documenti, arredi e materiali finora mai mostrati in originale. Abbiamo pensato a questo racconto, con un allestimento che richiama i petali di un fiore, per ripercorrere la sua figura poliedrica". Si continua a studiare e a indagare il maestro De Carli. L’ultimo suo libro, che ha ispirato il titolo e l’allestimento della mostra - “Corollario“ - sarà ripubblicato in Open access, potrà essere presto consultato gratuitamente da tutti. Ed è in cantiere anche uno studio-opera visuale, realizzato da Antonio Rovaldi e altri artisti, incaricati di rivisitare gli spazi di una delle opere architettoniche più significative di De Carli, la chiesa di Sant’Ildefonso, con droni e musica d’organo. Intanto l’invito è a esplorare la mostra (aperta dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 19, ingresso libero) creandosi un proprio percorso, inseguendo colori e temi, tra “Il pensiero e le parole“, “Il regalo della pittura“, “Corrispondenze di sensi“, “Attualità dei mobili“, “Trame espositive“, “Ricerca in architettura, “Il progetto del mobile“, “L’insegnamento e la scuola“, sfogliando Libri Bianchi ciclostilati, riviste e appunti delle sue lezioni.