ANNA MANGIAROTTI
Cronaca

Vico Magistretti senza confini, design e architettura essenziali: “Bisogna imparare a togliere”

A settembre una grande mostra in Australia celebrerà il genio del progettista milanese. “Il complimento più grande? Quando uno spettatore dice: questo potevo farlo anch’io”

Vico Magistretti (1920-2006) in una foto che risalte agli anni 90 all’interno del suo studio (Fondazione Magistretti) Sotto un particolare della casa studio diventata museo con la sedia “Carimate“ e una serie di schizzi del designer

Vico Magistretti (1920-2006) in una foto che risalte agli anni 90 all’interno del suo studio (Fondazione Magistretti) Sotto un particolare della casa studio diventata museo con la sedia “Carimate“ e una serie di schizzi del designer

Milano – Una mostra a Sydney per festeggiare i 60 anni di carriera di Vico Magistretti, uno dei padri del design made in Milano. Si intitola “Vico Magistretti – Architecture & Design” la grande esposizione organizzata dall’Istituto Italiano di Cultura che andrà, in scena dal 17 settembre al 18 ottobre, per celebrare uno tra i protagonisti della Milano più brillante sbucata fuori dalla guerra, prendendosi medaglie e Compassi d’oro, “senza prendersi sul serio”.

Lo ha sempre riconosciuto il lord lombardo padre del fenomeno che ha globalizzato la società, sulla spinta della Triennale del ’48. Suo padre Pier Giulio era architetto (progettista insieme a Grippini, Muzio e Portaluppi del Palazzo dell’Arengario), ma muore giovane. E Vico, nato nel 1920, si laurea al Politecnico nel ’45. Nelle interviste non ricordava il primo lavoro fatto, ma la prima sedia ad esser prodotta in materiale plastico, sì, concepita nel 1966/’67, rossa. Sarà un successo internazionale, accolta nei musei.

Sottile come la gamba di una comune sedia di legno: “L’ho risolta utilizzando la caratteristica di uno stampo di materiale plastico formato da un semplice foglio di 3 millimetri di spessore con una semplice sezione a ’S’; molto resistente che dava all’oggetto una chiara parentela con le sedie comuni senza gambe da elefanti e non da sedia. È stato un divertente lavoro col falegname modellista sul modello in legno”, spiegava, precisando che il design non si fa in solitudine come l’architettura, ma parlando chiaramente. Perché è un lavoro di relazione: 7/8 persone riunite intorno al tavolo, dando fiducia a chi fa l’oggetto con la macchina (“sono le macchine che fanno le cose”). E deve quindi risultare elegante, comodo, funzionale, in serie, cioè il contrario delle stile (“e della moda, niente a che fare con l’autunno e l’inverno”). Deve durare tanto.

Fondamentale il sodalizio con l’industria. Non a caso valorizzato nella mostra australiana, curata dalla Fondazione Magistretti con Maria Vittoria Capitanucci, e che vede il contributo di Artemide, Cassina, De Padova, Flou e Oluce, espositori di icone leggendarie, lampade, tavoli, letti, librerie, e ovviamente sedie. Caratterizzate dalla semplicità: “La cosa più complicata del mondo. Deriva dal togliere. Ho sempre cercato di guadagnarmi questo complimento, da parte di chi davanti a un mio oggetto dicesse che avrebbe potuto farlo lui. Ma sa cosa avrei voluto davvero fare io? L’ombrello!”.

Fino alla fine nel 2006, Magistretti affascinava nel suo studio vicino al Conservatorio, riandando alla Milano dei giovani che come lui avevano frequentato il Parini: “Anche per il design, la migliore preparazione è la cultura, la cultura classica”. Appunto, il segreto della semplicità (oltre al segreto delle fabbriche produttrici). Insieme alla biografia, la mostra illustra accanto al design le opere forse meno note che testimoniano l’approccio all’urbanistica. Maturato con il boom edilizio, pure nel dopoguerra, peraltro indagando le potenzialità della prefabbricazione e della standardizzazione applicate all’edilizia.

Per tutti gli anni 50, realizza insediamenti per l’Ina-Casa, e partecipa all’esperienza del quartiere sperimentale Qt8 per l’Ottava Triennale (1948), della quale cura infatti la sezione sull’industrializzazione edilizia assieme a Chessa. A Milano, celebre diventa la sua Torre al Parco (Parco Sempione), 1953-56, quando il Comune ordinava di realizzare, sì, un edificio sviluppato in altezza, sostituendolo a quello a corte ipotizzato dal piano regolatore per quell’area, ma mantenendo inalterata la cubatura già approvata, così da coprire un terzo circa del lotto a disposizione (450 metri quadrati su 1.200 totali), per il resto occupato da un giardino e da un parcheggio privato pavimentato in porfido, sotto cui si sviluppano i tre piani interrati della torre.

A consacrare Magistretti architetto nel panorama teorico è la presentazione all’ultimo Ciam (Congrès International d’Architecture Moderne, Otterlo, Olanda), nel 1959, della sua Casa Arosio, appena completata nella pineta di Arenzano. E quando per gli Arosio, in Sardegna, nella Gallura che vanta la Costa Smeralda, farà anche due piccole residenze denominate “ville-garage”, saranno rispettosamente adagiate nel territorio amico.