Milano – Pomeriggio del 26 settembre 2019, siamo in viale Bodio. Due agenti della polizia locale presidiano le strisce pedonali in orario di uscita da scuola. Alle 16.20, stando a quanto risulta dall’annotazione di servizio, uno dei ghisa vede sul marciapiedi una donna con due bambini e si avvicina per consentire ai tre di attraversare la carreggiata in sicurezza. In quei secondi, si accorge di una Renault Megane che sta arrivando a forte velocità e che non accenna a decelerare: intima più volte l’alt e fa segno anche con le braccia di fermarsi.
L’automobilista all’epoca cinquantatreenne, sempre secondo il resoconto dei ghisa, arresta la marcia solo negli ultimi metri, tanto che l’agente lo rimprovera e gli chiede i documenti per poter contestare l’infrazione al Codice della strada. "Ma cosa c. stai dicendo, tu non sei nessuno, io non ti do un c. e vattene a c. Buffone che non sei altro", la furiosa replica del conducente, che riparte e urta il braccio destro del vigile. Poi inchioda e scende, accusando il ghisa di aver colpito di proposito la carrozzeria: "Te la faccio pagare, chiamo i carabinieri", urla.
La situazione si fa sempre più tesa: l’uomo risale in auto e rifiuta di farsi identificare, fino a quando, dopo diversi minuti di trattativa senza esito, gli agenti lo costringono con la forza a uscire dall’abitacolo e lo ammanettano a terra, non senza fatica.
L’automobilista viene indagato per resistenza, oltraggio, lesioni e rifiuto di generalità. Finita? No, perché il giorno dopo il conducente controdenuncia i ghisa per lesioni, allegando alla querela le foto di ecchimosi ed escoriazioni su varie parti del corpo e la certificazione medica che dà conto delle fratture dell’omero destro e di due costole "connesse all’aggressione subìta". Prognosi finale: 42 giorni. La sua versione è completamente diversa da quella dei vigili: dice di essere stato aggredito verbalmente e fisicamente e di essersi comportato correttamente. In assenza di telecamere, acquistano ancor più valore le testimonianze di tre passanti.
Uno conferma già in quei minuti la versione dei ghisa, parlando di atteggiamento "tutt’altro che collaborativo" da parte del conducente e descrivendolo "arrabbiato e ostile". Due, sentiti nel marzo 2021, si schierano con l’automobilista: uno in particolare evidenzia da un lato "le modalità piuttosto brutali impiegate dai due agenti" e dall’altro "la condotta civile e collaborativa" del cinquantatreenne.
Chi ha ragione? Il pm Piero Basilone reputa l’intervento "legittimo" e "attuato in maniera adeguata alle circostanze", invocando per i due ghisa la scriminante dell’articolo 53 del codice penale, che consente al pubblico ufficiale di utilizzare armi e altri mezzi di coazione fisica qualora vi sia costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’autorità.
Da qui la richiesta di archiviazione, formalizzata il 2 marzo 2022. Una richiesta avversata dal legale dell’automobilista e respinta nei giorni scorsi dal gip Chiara Valori, che ha disposto per gli agenti l’imputazione coatta.
Per il giudice, la ricostruzione che risulta "maggiormente attendibile ed estranea a eventuali condizionamenti" è quella dei due testimoni a favore del conducente. E ancora: "La forza impiegata dai due agenti, oltre a non essersi rivelata necessaria, non può nemmeno ritenersi proporzionata rispetto alle circostanze del caso concreto". Conclusione: si va a processo. "Saremo al fianco dei colleghi – fa sapere il segretario del Sulpl Daniele Vincini – e chiederemo che il Comune dia loro tutela legale".