Milano – Se Goethe aveva ragione a sostenere che “la presenza è una potente dea”, allora lui parte avvantaggiato, anche se i capelli color sale ricordano che insomma il tempo era passato pure per il ragazzino che in tenera età aveva avuto l’ardire di lasciare la sua Puglia per Milano e per una montagna di piatti da lavare.
Vincenzo Santoro, morto nella notte all’età di 72 anni, era un melange di autorità naturale e di flemma un po’ inglese, dietro a due occhi azzurri che devono avere contato molto quando ha incontrato la signora Marcella e l’ha poi sposata. Titolare di una ‘Martesana’ che da anni campeggia sui gradini più alti delle guide gastronomiche dedicate alla settima arte, dopo avere disegnato la sua personalissima geografia professionale avendo spesso per complici alcuni dei numerosi (5) fratelli. Una storia piena di parentesi aperte e chiuse, di azzardi e gesti quasi profetici: ha 9 anni e fa già il garzone in una panetteria della sua Orta Nova, nel Foggiano, riuscendo a portare a casa pagnotte e qualche mancia. Non ha nemmeno 12 anni quando decide di seguire il fratello Franco all’ombra della Madonnina e finisce in una pasticceria ad apprendere i primi rudimenti del mestiere, in una Milano bella “… ma piena di nebbia”. A 18 anni, sempre con Franco, lavora in Sardegna a Forte Village e con lui apre la pasticceria Santoro in Pellegrino Rossi, prima di fare il passo decisivo: un locale tutto suo, in piazza Greco, dove resta per oltre 10 anni. E nel 1984 apre in via Cagliero, in quella che è l’attuale ‘Martesana’, coinvolgendo nella prima fase il fratello Vittorio, altro genio dell’arte bianca.
Il resto? Storia recente. Vincenzo era diventato docente dell’Accademia Maestri Pasticceri Italiani, era l’anima di una serie di locali che si sono guadagnati meritatamente i riflettori. Anche grazie al contributo dell’ultima generazione, ovvero dei figli di Santoro, gli amatissimi Manuela, Valeria e Gabriele, prova provata che la forza di questo marchio è il senso di appartenenza: alla famiglia e agli stressi quartieri (per primo il Cagliero-Madonnina) che di volta in volta hanno adottato i Santoro e la loro maison. Certo, il mondo sta cambiando. E con lui, l’offerta di un brand che da qualche tempo campeggia anche in via Sarpi. Facile notarlo nella produzione di nuove torte dai nomi accattivanti come la Salentina e la Brigitte, ma ancora di più nella recente linea di mignon salati che sembrano volere sfidare l’alta cucina.
Un suo buen retiro? Inimmaginabile. Perché – l’ha sempre ripetuto - avere 70 anni è come vivere una gioventù matura. E perché Santoro era così: discreto ma presente, eccome, in laboratori e pasticcerie dove le praline parlano e i lievitati hanno i sapori che sembravano smarriti, dentro un marchio che è sempre rimasto legato al ragazzino che lavava i piatti a 12 anni e che ora insegnava ai più giovani il mestiere più bello del mondo. Se ne è dunque andato ancora nel pieno dell’attività, quell’attività approcciata a soli 9 anni e mai abbandonata, ma anzi sempre coltivata. E ovviamente amata.