
Francesca Zurlo (Lea Anouchinsky)
Milano, 2 gennaio 2018 - «Il vintage non passerà mai di moda e ci darà sempre più da fare». Francesca Zurlo, già alla regia della Milano Vintage Week e realizzatrice di allestimenti a tema di grande impatto per Fiera Milano, è la coordinatrice del primo corso europeo in «Vintage System», creato allo Ied di Milano.
Cosa fa lo specialista del «sistema vintage»?
«In altri Paesi è una figura che esiste da diversi anni: è un consulente che si occupa di vintage e non solo, conosce i trend e le tendenze, lavora in stretto contatto con le aziende di moda e design per decidere su cosa puntare. Le aziende prendono ispirazione dal passato, da un motivo, da un decoro, da una stampa, da un taglio. Negli Stati Uniti, a Londra e in Francia prima di contattare il designer, grazie a un consulente, scelgono già il tema che vogliono cavalcare».
Milano, città della moda, è rimasta un po’ indietro?
«In Italia per ora è fatto tutto in modo molto artigianale, il limite è che il vintage è ancora vissuto come il mercatino dell’usato, ma non è questo. Manca una visione. All’estero è una figura che lavora non solo con privati ma con le imprese di moda e design, gli alberghi. Molti negozi, anche a Milano, si presentano come vintage ma non hanno abiti che hanno acquisito valore con gli anni, sono solo second hand. L’esperto di vintage è una figura che manca e sarà sempre più richiesta».
Potranno esserci, quindi, buone opportunità lavorative?
«Certo. L’esperto di vintage può lavorare per aziende di moda e design, collaborare con interior decorator a progetti di arredamento d’interni per alberghi e privati, occuparsi di acquisti per concep store internazionali».
Il vintage ha le sue regole. Come riconoscerlo?
«Prima, fondamentale: deve avere almeno 20-25 anni. Poi, non tutto quello che invecchia invecchia bene. Come per i vini: alcuni invecchiando aumentano di valore, altri diventano aceto. Un articolo è vintage perché magari ha un marchio o una lavorazione che non esiste più, perché ci racconta un’epoca. Il vintage non va mai letto in chiave nostalgica, non è una maschera, serve per anticipare il futuro».
Come anticiparlo?
«Bisogna avere una visione di sistema. Nel corso che curiamo allo Ied la parte teorica poggia su materie come storia del design, storia della moda, a questa si aggiungono marketing, semiotica, comunicazione, per aiutare lo studente a capire che moda e design non sono altro che prodotti di una società di una determinata epoca. Cerchiamo di fare capire ai ragazzi perché sono tornati i ’70, e perché nei ’70 c’è stato un ritorno dei ’40 per capire cosa andrà nei prossimi 4 o 5 anni. È il dialogo fra passato e futuro che ci permette di migliorare».
Il vintage non passerà mai di moda.
«Assolutamente no. Perché è la radice stessa della moda».
Come sarà il “vintage” del futuro? Cosa evitare?
«La macrotendenza è quella di riportare l’attenzione sulle persone, sugli individui. Non c’è un’epoca precisa anche se c’è un grande ritorno degli anni ’70 e dei volumi degli ’80. Nessun elemento in più è stonato se lo sai aggiungere, l’esagerazione è concessa però solo se ha una vena di ironia. Non c’è più il lusso ostentato, da feste, lustrini e paillette, la sovrabbondanza ha senso se indossata nella vita di tutti i giorni. Il vintage è una leva di comunicazione».