
Gli abusi erano iniziati quando aveva solo 9 anni
Milano – “La storia dei miei abusi è iniziata all’età di 9 anni, nella seconda metà del 1998, e il responsabile è mio cugino, più grande di me di circa 15 anni. Non mi rendevo conto di quello che stava succedendo". Si apre così la lunga denuncia che Claudia, nome di fantasia per tutelarne la privacy, ha presentato a marzo dell’anno scorso alla Polizia postale di Milano. Denuncia poi trasmessa alla Procura. La donna, che ora ha 34 anni, è stata convocata per rendere la sua testimonianza davanti a uno dei magistrati del pool “fasce deboli” coordinato dalla procuratrice aggiunta Maria Letizia Mannella. Ha ripetuto il racconto dell’orrore, di abusi iniziati durante l’infanzia e proseguiti nell’adolescenza. Fino a quando, all’età di 17 anni, è riuscita ad allontanare il cugino.
L’autore delle violenze sessuali all’epoca faceva parte della polizia locale di Milano, ed è ancora in servizio. "Sono preoccupata – racconta Claudia al Giorno – per il fatto che un pedofilo possa stare, potenzialmente, a contatto con donne e bambini per il lavoro che svolge. Non voglio che altre persone si trovino a subire quello che ho subito io. Per questo ho deciso di presentare una denuncia – prosegue – che nel mio caso probabilmente non avrà effetti, visto che i reati sono già prescritti e sarà impossibile avere giustizia". La sua storia è simile a quella di tante altre vittime di abusi avvenuti in famiglia, che emergono a distanza di anni.
Le denunce vengono presentate quando ormai sono scaduti i termini e il reato non è più perseguibile, portando all’apertura di inchieste destinate all’archiviazione. Prima di arrivare a questo passo, Claudia ha dovuto affrontare un percorso lungo e doloroso. "Mio cugino non ha mai avuto atteggiamenti aggressivi con me – racconta – ma, nella mia mente, avevo paura che se mi fossi ribellata avrebbe potuto uccidermi, con la sua pistola. La cosa assurda è che lui credeva di avere una relazione con me, con una bambina".
Nella sua denuncia parla di un "senso di colpa che mi attanagliava la vita": un sentimento comune a molte vittime di abusi. Claudia, durante l’adolescenza, si era confidata con i genitori. Ma il cugino aveva continuato a frequentare il nucleo familiare. Una volta maggiorenne, quando ha preso consapevolezza del trauma subito, la donna ha iniziato un percorso da una psichiatra. Poi, dal 2014 al 2016, è stata seguita da una cooperativa che si occupa di abusi sulle donne, lavorando "sempre sul mio infernale senso di colpa e sulla mia sessualità". Nel frattempo è riuscita a studiare, a costruirsi una carriera come libero professionista in campo sanitario. "In tutto questo tempo non ho mai denunciato perché ero disorientata, preoccupata per le conseguenze – prosegue – mi è mancata un’assistenza su questo fronte e intanto trascorrevano gli anni. Solo il mio nuovo psicoterapeuta mi ha spinta a fare questo passo". La motivazione è riassunta nelle ultime frasi della sua denuncia, che è anche un “alert“ rivolto al Comune. "Ho trovato la forza grazie al terrore che la storia possa ripetersi. L’unico modo per evitare è che si sappia quello che mi è successo, che finalmente si compia l’unica cosa che andava fatta anni fa: la denuncia. È stato terribile scrivere queste pagine, ma è peggio lasciare perdere e mettere a tacere quella bimba che ha conosciuto troppo presto il male".