LUCA TAVECCHIO
Cronaca

Violenza sulle donne, la Casa Rifugio di Milano con indirizzo segreto: “Così aiutiamo le vittime a riconquistare la vita”

La struttura del Ceas (Centro Ambrosiano di Solidarietà) che accoglie le donne in fuga da anni di sopraffazioni e umiliazioni: “Sono sole e terrorizzate, cerchiamo di costruire una nuova normalità per loro e i loro bambini”

Uno degli appartamenti della Casa Rifugio del Ceas a Milano

Milano – Esistono posti a Milano in cui le donne vittime di violenza possono trovare accoglienza e protezione. Dove possono trasformare l’incubo di una vita fatta di sopraffazioni e umiliazioni in speranza e autonomia. Sono le Case Rifugio, luoghi protetti i cui indirizzi sono segreti per evitare che gli uomini autori delle violenze possano individuarli e mettere in pericolo le vittime, con minacce e nuove persecuzioni. Strutture che, nonostante l’esplosione dei casi e dell’attenzione sul fenomeno della violenza maschile sulle donne, stanno in piedi solo grazie alle (magre) convenzioni con i Comuni e i fondi regionali.

Un passo difficile

Sotto la Madonnina ce ne sono 9. Due di queste sono gestite dal Ceas, il Centro Ambrosiano di Solidarietà. Attualmente nelle due strutture sono ospitate in tutto 7 donne con i loro bambini e 6 donne sole. Arrivate qui dopo un doloroso percorso di consapevolezza. Perché l’accoglienza nella struttura può avvenire solo con il consenso della vittima. “Spesso però – spiega la coordinatrice delle Case Rifugio del Ceas, che resta anonima proprio per garantire la massima sicurezza alle ospiti – le donne fanno fatica ad accettare l’aiuto che viene loro offerto. La segnalazione ci arriva dai Pronto Soccorso ai quali la vittima di violenza si rivolge per le cure mediche in seguito alle percosse, o dai Centri antiviolenza, o dalle forze dell’ordine. Ma poi sono loro che devono decidere di allontanarsi da casa e dal marito, accettando le conseguenze penali del loro atto. Un  passo difficile, che per paura, non sempre fanno”.

Le rete del Ceas

Le Case Rifugio del Ceas sono nate nel 2008, una in città e l’altra in provincia – dove vengono ospitate le donne più a rischio e che necessitano di una distanza maggiore da Milano – possono  contare su 5 appartamenti e accogliere circa 25 persone, compresi i bambini. 

Sole e terrorizzate

"Le donne che accogliamo – prosegue ancora la coordinatrice – arrivano da esperienze durissime di abusi e umiliazioni. Spesso però sono sole e sono terrorizzate. Hanno paura di trovarsi senza casa e magari di vedersi portare via i figli. E sono i loro compagni a convincerle di questo: se te ne vai, ripetono loro, ti toglieranno i bambini”.

Segregate in casa

"Le ospiti che abbiamo attualmente – continua la responsabile – sono tutte di origine straniera, spesso arrivano in Italia per raggiungere il marito che è qui da anni. Sono effettivamente sole, non conoscono la lingua, non hanno relazioni sociali al di fuori della famiglia. E il marito ne approfitta per aumentare la loro segregazione. Vieta loro di uscire da sole, le controlla con continui messaggi e imposizioni. E in questa prigione si ritrovano in balìa di un uomo che le assoggetta completamente”. 

Un percorso di 2 anni

Una realtà dalla quale è difficile fuggire. E anche quando la violenza è intercettata e assistita il percorso da fare resta lungo e faticoso. “Nella casa rifugio di solito restano almeno due anni. È un cammino difficile. Prima di tutto bisogna ricostruire una personalità che è stata umiliata per anni, serve supporto psicologico e umano. Aiutiamo le donne a riprendersi la normalità. Un lavoro molto delicato soprattutto per le donne con figli, che qui provano a tornare a fare le mamme. Nelle loro case, la violenza psicologica e fisica cui sono sottoposte impedisce loro di dedicarsi ai figli, molte volte perché troppo preoccupate delle conseguenze che le esplosioni di brutalità possono avere sui bambini. Nella casa rifugio cerchiamo innanzitutto aiutarle a ritrovare le proprie risorse di donne e anche di madri. Risorse che hanno dentro di loro ma che sono schiacciate e umiliate dalle violenze. Da qui, da questa dignità ritrovata, proviamo poi a ricostruire il rapporto tra madre e figlio. I bimbi vanno a scuola e poi le mamme si occupano di loro, come dovrebbe succedere in condizioni normali”.

Nuova normalità

Il Ceas, attraverso la rete di supporto alle vittime di violenze, si occupa di trovare alle donne ospiti una casa e un lavoro e sostenerle nelle incombenze burocratiche, come la richiesta del Reddito di libertà (il supporto economico pubblico alle donne vittime di violenza). Al termine del percorso: “Tutte le donne che abbiamo assistito negli anni – conclude la coordinatrice del Ceas – hanno poi conquistato una vita nuova, una nuova normalità, fatta di lavoro e affetto. Certo, è molto difficile, anche perché i percorsi giudiziari che affrontano sono lunghi e accidentati e spesso si ritrovano a cominciare una nuova esistenza con processi ancora in corso. Questo è un aspetto sottovalutato, che aggiunge difficoltà e sofferenza: le istituzioni dovrebbero capire che le donne che denunciano devono in qualche modo essere premiate, il loro coraggio dev’essere riconosciuto, ad iniziare proprio da un percorso giudiziario più semplice e veloce”.